Ash: ‘Islands’ (Infectious, 2018)

Sono passati 22 anni da ‘1977‘, l’album del 1996 (quello di ‘Angel Interceptor‘, ‘Kung Fu‘ e soprattutto ‘Girl From Mars‘) che attirò l’attenzione sugli Ash come una delle giovani band più promettenti dell’universo brit-pop. In realtà Tim Wheeler, Mark Hamilton e Rick McMurray non sono mai stati propriamente brit (vengono da Downpatrick, Irlanda del Nord) e, vista l’incidenza che ha sempre avuto la chitarra nelle loro canzoni, nemmeno squisitamente pop. Fin da giovanissimi, le loro attenzioni si erano rivolte più all’hard-rock, al punk e al grunge, declinati in una versione estremamente melodica già a 17 anni, quando fecero uscire il loro primo mini-album, ‘Trailer‘. Il bello di Tim, Mark e Rick è che stanno insieme da ancora prima, dal 1992, ovvero da quando di anni ne avevano 15. Ne sono dunque passati 26, ma il loro stile non si è mai modificato granché, e il non altissimo numero di pubblicazioni (siamo ‘solo’ all’LP numero 8) ha permesso alla loro ricorrente proposta di non farsi eccessivamente tediante.

Islands‘, album scritto da Tim Wheeler durante alcuni suoi viaggi su varie isole del globo (Naoshima in Giappone, Maiorca in Spagna, Santorini in Grecia, Lambay in Irlanda e Manhattan a New York, dove vive) dopo la fine di una lunga relazione, ripropone i consueti pregi e i consueti difetti del trio nordirlandese, che peraltro torna a incidere con l’etichetta dei tempi d’oro, la Infectious (gruppo BMG, quindi major). Gli Ash danno il meglio quando si cimentano nel loro caratteristico power-pop che tende al punk-rock (‘True Story‘, ‘Annabel‘, ‘Somersault‘, ‘Buzzkill‘, a quest’ultima vi collaborano due Undertones), ma non riescono a mantenere lo stesso livello di efficacia al di fuori di quei confini, e si banalizzano parecchio sia quando provano a farsi più anthemici (‘All That I Have Left‘, ‘Silver Suit‘), e heavy (‘Did Your Love Burn Out‘, ‘Is It True?‘), che quando si cimentano in ballatone un po’ melense (‘Don’t Need Your Love‘, ‘It’s A Trap‘, ‘Incoming Waves‘). Così, ‘Islands‘ si rivela un disco riuscito nella sua prima parte (inclusa la semi-funky/elettronica ‘Confessions In The Pool‘, una tipologia di canzone inedita per la band), decisamente meno nella sua seconda. Va quindi a finire del folder degli album che raggiungono la sufficienza, ma che possono suscitare interesse esclusivamente nei fan già acquisiti dal gruppo.

VOTO: 😐



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