Ada Lea: ‘One Hand On The Steering Wheel The Other Sewing A Garden’ (Saddle Creek, 2021)

Genere: alt-folk/rock | Uscita: 24 settembre 2021

Se doveste, prima o poi, visitare Montreal, ‘One Hand On The Steering Wheel The Other Sewing A Garden‘, il secondo album di Ada Lea, potrebbe servire da funzionale guida turistica. È proprio la città in cui vive la cantautrice canadese la ‘protagonista’ delle sue nuove canzoni, ognuna ambientata in un diverso scorcio di una metropoli che conta ben un milione e settecento mila residenti. Un’idea nata nel 2018 (“Volevo realizzare un intero album che avesse Montreal come sfondo, e che esplorasse diverse aree della città che fossero significative per me“), ancor prima della pubblicazione del suo ottimo debutto, ‘What We Say In Private‘, il disco che ha inaugurato l’affiliazione alla Saddle Creek, etichetta che pubblica anche questo sophomore.

A differenza di quell’esordio, Alexandra Levy (questo il suo nome all’anagrafe) si è affidata alla sapiente produzione di Marshall Vore, già nel team produttivo di Phoebe Bridgers, e ai contributi del batterista Tasy Hudson, del chitarrista Harrison Whitford (anche lui nella band di Phoebe Bridgers), e dell’ingegnere del suono Burke Reid (Courtney Barnett), che si è occupato del missaggio. Ed è proprio il suono di ‘One Hand On The Steering Wheel The Other Sewing A Garden‘ uno degli elementi caratterizzanti di un lavoro che ha il pregio di distinguersi sì dal predecessore, ma anche rispetto a un quadro più ampio. È il particolare mix di soft-, folk- e alternative-rock, miscelato con misura dalla prima all’ultima nota, a denotarne la peculiarità.

Fulgido esempio è l’opener ‘Damn‘, la cui melodia potrebbe provenire dagli anni ’70, ma il cui crescendo emotivo è certamente più derivante da un paio di decenni dopo. ‘Can’t Stop Me From Dying‘ presenta decise scariche di sintetizzatori su un ritmo leggermente più incalzante, mentre ‘Oranges‘, il brano più lungo del lotto, piano piano avvolge l’ascoltatore in una stretta emozionale sottolineata da una ritmica elettrica di grande fascino. Anche la successiva ‘Partner‘ mostra analoghe caratteristiche, sancendo la superiorità compositiva di una prima metà di disco pressoché perfetta. Diventa, e non totalmente per demeriti propri, quasi un riempitivo l’indie-folk piuttosto canonico di ‘Saltspring‘, che viene però seguito da altri brani di carattere come il soft-rock aulico di ‘My Love 4 U Is Real‘, una ballata d’altri tempi come ‘Backyard‘, l’acustica ‘Writer In NY‘ o la conclusiva ‘Hurt‘. In particolare, quest’ultimo è un altro singolo molto ben interpretato, che accresce la suggestione di un album che si rivela un deciso salto in alto per una cantautrice che mostra di possedere le doti necessarie ad alzare ulteriormente l’asticella.

VOTO: 😀



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