Algiers: ‘There Is No Year’ (Matador, 2020)

Genere: dark-soul | Uscita: 17 gennaio 2020

Se, dopo l’elezione di Trump e il referendum sulla Brexit, la proliferazione di album ‘politici’ è stata così abbondante da far sorgere qualche perplessità sulla generale genuinità di coloro che vi ci sono cimentati, non può sussistere dubbio alcuno a proposito degli Algiers, da tempi non sospetti (ovvero sin dalla scelta della simbolica denominazione) attivi in difesa dei più deboli e fermi oppositori delle angherie dei potenti. Se c’è una band che si può considerare erede dell’attivismo politico di eminenze come Rage Against The Machine e Billy Bragg, questi sono proprio loro. Non fa eccezione ‘There Is No Year‘, terzo album in carriera per il gruppo di Atlanta, reduce dal tripudio collettivo per ‘The Underside Of Power‘ (2017) e dal seguente tour a supporto dei Depeche Mode che ha loro allargato, quantitativamente e qualitativamente, la fanbase.

L’unicità della musica del quartetto guidato da Franklin James Fisher, che da qualche anno include anche il dotatissimo ex batterista dei Bloc Party Matt Tong, è qualcosa che li ha sempre fortemente caratterizzati, e al tempo stesso considerevolmente elevati rispetto alla media delle rockband contemporanee. La formazione soul e rhythm & blues di Fisher è stata, sin dagli esordi, ampliata alle più disparate influenze: dal post-punk all’industrial, dalla darkwave al free-jazz. ‘There Is No Year‘ è un’altra raccolta di estrose variazioni sul tema, i cui testi, sempre più combattivi e pregnanti, sono adattamenti di un poema epico, ‘Misophonia‘, scritto dallo stesso frontman “in un momento di ansia e scoramento“. Per l’occasione, Randall Dunn (Sunn O))), Earth) e Ben Greenberg (Zs, Uniform) hanno preso il posto alla produzione di Adrian Utley dei Portishead.

E’ evidente sin dal drumming insistente e dai claustrofobici sintetizzatori della title-track/opener del disco, come il maggior pregio del nuovo album degli Algiers sia la sua capacità di rendere nitidamente la visione del mondo di Franklin James Fisher: un luogo malato e decadente che viaggia a forte velocità verso l’autodistruzione. ‘Disposession‘, primo singolo e secondo brano del lotto, con i suoi cori gospel ne sembra quasi il precoce funerale. Le linee melodiche, unico aspetto piuttosto prevedibile di questo disco, sono via via inglobate in una serie di suoni sempre differenti quanto sorprendenti, come l’aggregazione di synth e chitarra in ‘Hour Of The Furnaces‘, le percussioni di ‘Losing Is Ours‘, i beat di ‘Unoccupied‘ e ‘Chaka‘, lo slowcore di ‘Wait For The Sound‘, il noise di ‘Nothing Blood‘, il punk altrettanto rumoroso della conclusiva ‘Void‘. Il loro essere un po’ troppo spesso sopra le righe è un’altra ragione per cui ‘There Is No Year‘ non riesce totalmente a replicare la perfezione del precedente LP, ma è comunque un disco che ha tutte le carte in regola per soddisfare gli estimatori di un gruppo ormai pienamente consacrato, e ciononostante tutt’altro che ammansito o appagato.

VOTO: 🙂



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