Arlo Parks: ‘My Soft Machine’ (Transgressive, 2023)

Genere: bedroom-soul | Uscita: 26 maggio 2023

La vittoria del Mercury Prize del suo album d’esordio, ‘Collapsed In Sunbeams‘ (2021), ha letteralmente catapultato Arlo Parks in diverse dinamiche da artista mainstream. Le difficoltà personali nel reggere la schedule del suo primo tour mondiale divenuta fittissima è stato soltanto il primo indizio di una perdita d’innocenza che i credits di questo suo sophomore, ‘My Soft Machine‘, evidenziano ulteriormente. Ben sette produttori (compresa la stessa Anaïs Oluwatoyin Estelle Marinho) e soltanto un brano (oltre l’intro) scritto in completa autonomia. Il trasferimento da Londra a Los Angeles e il fidanzamento con la rapper Ashnikko, sanciscono ulteriormente come Arlo non sia più la timida ragazza cresciuta ad Hammersmith.

È in effetti un disco molto più prodotto questo, come lei stessa conferma in un’intervista all’Independent: “‘Collapsed in Sunbeams’ aveva un senso di minimalismo. La batteria suonava sempre calda, la strumentazione era come un bagno di sale rilassante per i testi, non c’erano suoni abrasivi. Questa volta ho sentito il bisogno di avventura, di sperimentazione, volevo portare la strumentazione in primo piano“. Aumentate sono anche le fonti di ispirazione: oltre ai ‘soliti’ Portishead, Arlo parla anche di Yo La Tengo, Paramore e persino dei My Bloody Valentine (“il suono di chitarra che abbiamo usato alla fine di ‘Puppy’“), nomi inconsueti in un lavoro che, come il precedente, si muove tra bedroom-pop e R&B/soul con melodie suadenti e melliflue, ancor più friubili di quelle del debutto (si sentano ‘Impurites‘, ‘Blades‘ e ‘Weightless‘).

Ed è questo il difettuccio di ‘My Soft Machine‘: il suo essere, per l’appunto, un trait d’union tra la Anaïs artista emergente e la Arlo popstar in via di esplosione, che va a vivere in California ed è la migliore amica del suo ex idolo Phoebe Bridgers (che duetta con lei in ‘Pegasus‘). Il suo sophomore scorre gradevole e a suo modo estivo, non annoia mai, ma non cattura l’attenzione quanto il debutto, rispetto al quale difetta di spontaneità e imprevedibilità, fatta eccezione per i testi, sempre molto sinceri e personali, e sporadiche scelte coraggiose (ad esempio la chitarra di ‘Devotion‘). Niente che lo faccia sembrare brutto, soltanto un gradino sotto un Mercury Prize winner.

VOTO: 🙂



 

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