Belly: ‘Dove’ (autoproduzione, 2018)

Dopo anni di gregariato, dapprima con la sorellastra Kristin Hersch nei Throwing Muses, quindi insieme a Kim Deal nelle Breeders, nel 1992 Tanya Donelly decise che per lei fosse giunta l’ora di diventare leader incontrastata di una band. Fondò così i Belly insieme ad alcuni amici musicisti di Newport, Rhode Island. Il successo fu immediato e forse anche un po’ inaspettato: l’album d’esordio ‘Star‘ (1993) arrivò persino alla nomination ai Grammy. La formula dei Belly era più accessibile e lineare di quella delle altre band in cui Tanya aveva militato, pur mantenendosi in ambito alt/indie-rock. Era un periodo storico in cui l’onda lunga del grunge certamente favoriva le guitar-band, e un paio di singoli indovinati (‘Feed The Tree‘, ‘Gepetto‘) aiutarono parecchio. Purtroppo, il secondo capitolo (‘King‘ del 1995), non fece così bene, anzi. Per i Belly lo scioglimento fu altrettanto rapido e non indolore.

In questi tempi in cui una reunion non si nega a nessuno, anche Tanya e soci hanno pensato di giocarsi le proprie carte e, grazie al miglioramento dei rapporti personali e a una piattaforma crowdfunding, sono riusciti a dare alla luce quell’agognato terzo album che mancava da 23 anni. Come ogni ricongiungimento nostalgico la scelta è di ripercorrere strade conosciute, e difatti il maggior pregio di ‘Dove‘ è quello di riportare indietro nel tempo coloro che si ricordano dei Belly (‘Shiny One‘, ‘Army Of Clay‘). La Donelly però non se lo fa bastare, e cerca di arricchire il suono del gruppo anche alla luce della sua successiva esperienza solista, aggiungendovi elementi country/folk (‘Suffer The Fools‘, ‘Quicksand‘, ‘Artifact‘) che rendono l’insieme un ibrido di scarsa utilità. ‘Dove‘ non riesce infatti a replicare le dolcezze rumorose di ‘Star‘ (con l’eccezione della piacevole ‘Stars Align‘), ma neanche a rappresentarne un’alternativa credibile. Così questo lavoro, sebbene dignitoso, si rivela del tutto trascurabile.

VOTO: 😐


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