Black Foxxes: ‘Black Foxxes’ (Spinefarm, 2020)

Genere: alternative-rock | Uscita: 30 ottobre 2020

Può forse sembrare paradossale che i Black Foxxes abbiano deciso di far uscire un album omonimo proprio dopo un cambio di line-up che non è ardito definire rivoluzionario. Fuori due dei tre membri originari, il bassista Tristan Jane e il batterista Anthony ‘Ant’ Thornton, sostituiti rispettivamente da Jack Henley e Finn Mclean. Unico sopravvissuto il leader, frontman e songwriter Mark Holley, che in un periodo di grandi cambiamenti ha anche preso una nuova residenza, spostandosi da Bristol a Edimburgo, ovvero dal sud dell’Inghilterra al nord, in Scozia.

Ciò che non cambia, nella sua musica, è l’incidenza delle chitarre elettriche, fondamentali e insostituibili, utilizzate al massimo delle loro potenzialità, sempre pronte ad esplodere in catarsi rumorose che rimangono il fulcro delle sue composizioni. E pensare che l’etichetta, una sotto-label della Universal, voleva fargli fare un disco acustico. Come se non bastassero le tensioni professionali, ci si sono messe le cure per combattere la malattia che da sempre lo attanaglia, il morbo di Crohn, che gli stavano facendo perdere i capelli, e la diaspora in atto nella sua band, in cui si era ritrovato solo: “Concludere questo disco è stata una prova di carattere e perseveranza“, sentenzia Holley in questa intervista, che definisce il terzo LP del progetto più importante della sua carriera “pieno di rabbia”. È un disco che non ha intenzione di fare prigionieri ‘Black Foxxes‘, il cui primo singolo, ‘Badlands‘, è un brano non certo orecchiabile di quasi 9 minuti e il cui opener, ‘I Am‘, ha tutta l’aria di una perentoria rivendicazione di indipendenza artistica.

E di autodeterminazione ce n’è parecchia in questo disco, imprevedibile in ogni sua nota, versatile in ciascuna delle sue declinazioni, estremamente legato agli anni ’90 che non vengono però semplicemente replicati, ma rivisitati con personalità e ardore. Ci sono quelle che nel contesto di questa tracklist si possono definire “ballate emozionali”, come ‘Drug Holiday‘, ‘Panic‘ e ‘Swim‘, ci sono rock (a loro modo) melodici come ‘My Skin Is‘ e ‘Jungle Skies‘, ci sono le folate di rumore di ‘Pacific‘ e ‘The Diving Bell‘, altri 9 minuti e mezzo di un susseguirsi di quiete e tempesta che è reiterato lungo tutto il lavoro, ma su strutture e alternanze sempre differenti. Forse aveva ragione l’etichetta, ci sarebbe voluto un bel disco acustico per far conoscere a più persone possibili il talento di cantautore di Mark. Sarebbe però stato riduttivo, perché Holley è di più, è un vero e proprio compositore: la fortuna di poterlo ascoltare senza vincoli e filtri probabilmente capiterà a molti meno, ma vogliamo mettere la soddisfazione che può dare un disco così fuori dal tempo e dagli schemi come questo?

VOTO: 😀



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