Chvrches: ‘Love Is Dead’ (Universal, 2018)

A dispetto delle sembianze da teenager dell’aspetto e della tonalità della voce di Lauren Mayberry, i Chvrches sono una band ben più che formata: Iain Cook è stato il chitarrista di Aereogramme e Unwinding Hours, Martin Doherty suonava spesso con i Twilight Sad. Dunque, due terzi dei Chvrches provengono dalla Glasgow più alternative, quella di label come Chemikal Underground e Rock Action, e da contesti post-rock e post-punk più che electro-pop. Non è un caso che i primi due album dei Chvrches siano stati prodotti in autonomia: l’esperienza pregressa era di certo sufficiente, ed era anche la ragione di un suono che pur rimanendo estremamente fruibile trasmetteva le atmosfere che storicamente permeano le composizioni di una città in cui le tonalità dominanti sono quasi esclusivamente il grigio e il marrone.

Poi però, è arrivato Greg Kurstin. Il produttore di Adele, colui che è riuscito a far sembrare Liam Gallagher una versione solo un po’ più adulta di Ed Sheeran. Riuscirebbe a normalizzare chiunque, Kurstin, con le sue produzioni populiste, che hanno come unico intento quello di raggiungere il maggior numero possibile di fruitori, senza minimamente preoccuparsi dell’integrità artistica dei musicisti con cui lavora. Eppure la lavorazione di questo album era iniziata con la visita in studio di David Stewart degli Eurythmics, che aveva catechizzato i Chvrches proprio su quel punto, l’“integrità artistica”. Non è un caso che Stewart non compaia nei credits del disco ma solo nella nota stampa: il suo consiglio è stato completamente disatteso.

I Chvrches hanno deciso di abbandonare Glasgow per Los Angeles, sia fisicamente che idealmente, e si sono immersi nel gigantesco calderone del pop elettronico da classifica, lasciando chiusa in valigia ogni specificità. ‘Forever‘ e ‘Miracle‘ sono brani che potrebbero essere cantati allo stesso modo da Katy Perry (in quest’ultimo a fare danni è un altro super-producer pop, Steve Mac), ‘Never Say Die‘, ‘Graves‘ e ‘Heaven/Hell‘ da una qualsiasi altra starlette con un passato alla Disney, ‘Woonderland‘ sarebbe un ottimo singolo, ma per la reunion delle Spice Girls; in ‘My Enemy‘ si riesce a rendere ininfluente persino la presenza di uno come Matt Berninger. Soltanto in ‘Graffiti‘, ‘Get Out‘ e ‘God’s Plan‘ si risentono, e neanche al meglio, i Chvrches degli esordi, quelli che sembravano essere una promettente e più accessibile versione scozzese dei Knife. Insomma, siamo di fronte a una scelta di campo (e di marketing) precisa, che dal nostro punto di vista non possiamo che stigmatizzare.

VOTO: 🙁



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