Coldplay: ‘Everyday Life’ (Parlophone, 2019)

Genere: pop-rock | Uscita: 22 novembre 2019

Eppure ci fu un tempo, una ventina di anni fa, in cui i Coldplay venivano considerati la band indie per antonomasia. Incidevano per la piccola Fierce Panda, pubblicavano stringati EP contenenti canzoni molto poco prodotte e strumentalmente assai minimali. Fu la fortuna dei primi due album della band londinese, formata da quattro amici (allora) molto nerd conosciutisi all’università: ‘Parachutes‘ (2000) e ‘A Rush Of Blood To The Head‘ (2002) risultarono così empatici, oltre che per la pura bellezza di molte delle canzoni che contenevano, anche per la semplicità e l’essenzialità degli arrangiamenti, che lasciavano le liriche e le melodie di Chris Martin libere di giungere all’ascoltatore in modo sincero e diretto, senza troppe futili sovrastrutture.

I successi planetari ottenuto da quei primi due lavori (e i numerosi dischi di platino dei successivi) cambiarono i Coldplay: indubbiamente dal punto di vista artistico, e probabilmente anche da quello privato. Martin, che ammetteva candidamente di essere rimasto vergine ben oltre la maggiore età, divenne improvvisamente un sex symbol, tanto da sposare una delle più ammirate attrici in circolazione. Piano piano, i dischi dei Coldplay accolsero fittissime stratificazioni sonore, costosissime produzioni, vastissime strumentazioni, ospitate celebri, ammiccanti featuring. Se fino a ‘Viva La Vida…‘ (2008) tutto ciò si sviluppò coerentemente con l’evoluzione artistica di un gruppo che si era comunque sempre mostrato curioso e intraprendente (tanto da riuscire a servirsi della produzione di Brian Eno), da ‘Mylo Xyloto‘ (2011) in poi fu evidente che questa non era più l’unica ragione d’essere dei dischi del quartetto. Era probabilmente diventato più importante raggiungere il maggior numero di vette possibili: di ascolti, di vendite, di popolarità. La musica dei Coldplay si fece così stereotipata e prevedibile da oscurare quasi completamente quei brillantissimi esordi, ma soprattutto da affossare tutta la considerazione artistica guadagnata con i due masterpiece di inizio carriera. Per i fan della prima ora, erano ormai una causa persa: non c’è nulla che possa essere più stigmatizzato, per una band proveniente dalla scena alternative, del diventare mainstream.

A un livello meno esplicito è questa una delle tante dualità che albergano in ‘Everyday Life‘, ottavo LP in carriera per la band inglese, nonché progetto sia commercialmente che artisticamente ambizioso. E’ importante sottolinearlo perché, a suo modo, segna un’altra svolta nella parabola artistica di Chris Martin e soci, che evidentemente intendono riappropriarsi di parte del credito perduto. Non c’è dunque solo la lotta tra il bene e il male, tra le miserie terrene e la nobiltà spirituale, ovvero due dei leitmotiv di diversi dei brani in scaletta. C’è anche quella tra i Coldplay di 20 anni fa e quelli di oggi, tra l’essere i più apprezzati e l’essere i più conosciuti. Che sia questa la reale divisione tra ‘Sunrise‘, l’alba, ovvero il titolo della prima parte dell’opera, e ‘Sunset‘, tramonto, quello della seconda? E che questo doppio album sia il loro tentativo di far coesistere la loro impolverata anima alternative con la scintillante attualità mainstream?

E’ questa forse una delle cause delle tante incongruenze ravvisabili in ‘Everyday Life‘, un contenitore talmente composito da risultare difficilmente leggibile e comprensibile. Arduo capire il criterio di suddivisione dei brani nelle due metà, comprendere perché il brodo sia stato allungato così tanto, trovare una coerente idea di fondo, soprattutto a livello musicale. Presenta tanti difetti, come il vagare senza meta apparente tra i generi musicali, dando di molti di essi una versione impersonalmente stereotipata (il gospel ‘BrokEn‘, il blues di ‘Guns‘, la world music di ‘Orphans‘, il soul di ‘Cry Cry Cry‘) o la nefasta predilezione per il coro da stadio (‘Champion Of The World‘, ‘Everyday Life‘). Ci sono però anche cose belle, misurate, a tratti emozionanti. ‘Everyday Life‘ è soprattutto un disco che mostra i Coldplay riappropriarsi di una parte di sé stessi, incidere alcune tra le loro migliori canzoni dell’ultimo decennio, come ‘Church‘, ‘Eko‘, ‘Old Friends‘ e soprattutto ‘Trouble In Town‘ e ‘Daddy‘ (non a caso due brani in cui non si esagera con la produzione), o proporre il pezzo più avventuroso della loro carriera, ‘Arabesque‘: passare dai featuring di Rihanna o Avicii a quelli di Stromae e della band di Femi Kuti la dice lunga sul cambio di prospettiva, che dal nostro personale punto di vista è lodevole. La sensazione è che qualche coniglio nel cilindro Martin ancora ce l’abbia, e che se non fosse così ossessionato dai grandi numeri, se riuscisse a condensare meglio le idee e a riappropriarsi di quella capacità di scelta e selezione che aveva 20 anni fa, potrebbe ancora tirare fuori un grande album. Che non è questo, ma che proprio questo disco non rende più così impensabile che, prima o poi, accada.

VOTO: 🙂



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