I Creep Show sono quello che si dice un super-gruppo. Vi fanno parte i Wrangler, a loro volta unione di cervelli quali il producer Benge, Phil Winter dei Tunng e soprattutto Stephen Mallinder dei mitologici Cabaret Voltaire (gruppo seminale e pioniere per la musica elettronica). Vi fa parte John Grant, che può dare libero sfogo alla sua passione per i suoni sintetici non certo celata nei suoi due album più recenti. Ritrovatisi in Cornovaglia in mezzo alla marea di sintetizzatori e drum machine collezionati da Benge, i Creep Show hanno cominciato a produrre materiale: “Tutto era permesso e tutto era possibile“, racconta Mallinder delle registrazioni.
Ed è proprio questa estrema libertà compositiva la croce e la delizia di questo disco. Tenendo buone (anche ottime) le basi dark e minimali create da Benge e Winter, l’album si sviluppa con schizofrenia tra cut ‘n’ paste, sperimentazione e sporadici interventi di Grant come cantante: sono questi ultimi i momenti migliori, in cui tutti i componenti dei Creep Show fanno ciò che sanno fare meglio. ‘Modern Painting‘ e ‘Pink Squirrel‘ sono i due brani che più risultano assimilabili, e si rivelano anche molto godibili oltre che, a loro modo, unici. Il resto del disco, però, si perde un po’ in sé stesso, travolto da un’urgenza creativa che non intende fare prigionieri, come se qualunque idea dovesse essere messa in pratica. Un esempio è la bizzarra ‘Tokyo Metro‘ e la sua base da videogioco, un altro è l’insipida ‘K Mart Johnny‘ e il suo spoken word, altri ancora le interlocutorie ‘Lime Ricky‘ e ‘Fall‘. Grant torna nella finale ‘Safe And Sound‘, ulteriore episodio che ci fa rammaricare di aver troppo poco sentito la sua voce in questo disco.
VOTO: 😐