DIIV: ‘Deceiver’ (Captured Tracks, 2019)

Genere: indie-rock | Uscita: 4 ottobre 2019

Esattamente un anno fa i DIIV si apprestavano a partire per un lungo tour americano insieme ai Deafheaven: le due band condividono, sebbene declinandola in maniera diversa, la stessa passione per il fragore delle chitarre, e potersi osservare a così stretto contatto ha senz’altro permesso loro un significativo scambio di idee. Di certo ha persuaso i DIIV ad alzare la leva dei volumi, e a realizzare il loro album più rumoroso di sempre. Un caos sonico che era già nella testa di Zachary Cole Smith sin dai giorni del suo improvviso ricovero in rehab, rivelatosi essenziale per la sua sopravvivenza. Le distorsioni di ‘Deceiver‘ possono infatti essere interpretate anche come “le esperienze personali, fisiche, emotive e approssimativamente politiche che sono alimentate dal circolo vizioso della tossicodipendenza“, come racconta il frontman a proposito del contenuto del singolo ‘Skin Game‘.

Ad accatastare gli strati sonori nelle nuove canzoni dei DIIV ci ha pensato Sonny Diperri, uno che ha recentemente lavorato con Trent Reznor, My Bloody Valentine, M83, These New Puritans e Protomartyr, e che evidentemente sa dove mettere le mani quando c’è da riempire lo spettro sonoro. Dipierri è il primo produttore esterno della storia del gruppo, nel frattempo ridottosi a quartetto a seguito del licenziamento del bassista Devin Ruben Perez per aver imbrattato internet di post omofobi e razzisti. Così il basso è passato a Colin Caulfield, tanto di tastiere in questo disco non ce n’era bisogno.

Nonostante tutti questi rilevanti cambiamenti ‘Deceiver‘ è, a scanso di equivoci, riconoscibilissimamente un album dei DIIV. Come nei due episodi precedenti (‘Oshin‘ del 2012 e ‘Is The Is Are‘ del 2016) la loro forza è un compattissimo amalgama tra grunge, dream-pop e post-punk, ma il limite della scarsità di alternative a un percorso che non prevede(va) significative deviazioni viene in parte superato. Il sensibile aumento della componente shoegaze è di per sé rinfrescante, oltre che rinvigorente, e porta anche a strutture meno prevedibili. Fulgidi esempi sono la bellissima ‘Blankenship‘, il brano migliore del disco per efficacia melodica, e ‘Acheron‘, quello più interessante per complessità compositiva. Fatta salva la comprovata abilità di Smith e Caulfield nello scrivere ottime canzoni (‘Skin Game‘, ‘The Spark‘) , il terzo LP della band newyorkese si rivela dunque il loro più completo, in piena corsa per essere considerato il loro migliore.

VOTO: 😀



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