EOB: ‘Earth’ (Capitol, 2020)

Genere: indietronica | Uscita: 17 aprile 2020

Guardandolo sul palco insieme agli altri Radiohead, Ed O’Brien è sempre sembrato il più schivo e tranquillo della frontline. Tutte le attenzione le ha sempre catalizzate Thom Yorke, e in seconda battuta Jonny Greenwood. O’Brien e la sua apparente imperturbabilità sono sempre rimasti un passo indietro perfino del batterista Phil Selway, che un paio di album solisti, nella prima metà dei ’10, li ha fatti uscire. Di fare qualcosa da solo Ed ci pensa sin dal lontanissimo 1996 ma, come egli stesso ammette in questa intervista al Guardian, è come se avesse sofferto di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dei due compagni più carismatici, soprattutto dopo la svolta elettronica di ‘Kid A‘ che rendeva praticamente inutile la presenza di un secondo chitarrista.

Paradossalmente, è proprio l’elettronica uno dei leitmotiv di questo suo meditatissimo esordio solista sotto il moniker EOB, un disco in cui le chitarre elettriche alla ‘The Bends‘ sono praticamente assenti in favore di quelle acustiche, che spesso si fondono con sintetizzatori, loop e beat più da MadChester che da Oxford. Quelle del musicista inglese sono 9 vere e proprie canzoni, non eccessivamente sperimentali se non per la lunghezza di un paio di tracce, tanto che tra le ispirazioni maggiori lo stesso O’Brien cita i Primal Scream di ‘Screamadelica‘, oltre che un lungo soggiorno in Brasile che gli ha dato una diversa visione della spiritualità e soprattutto la forza interiore di rompere gli indugi. ‘Brasil‘, per l’appunto, primo singolo e secondo brano in scaletta, è il riassunto più efficace di quanto si può trovare in questo lavoro: parte unplugged e finisce, dopo oltre 8 minuti, con una coda indietronica psichedelica che non dispiacerebbe ai Chemical Brothers. Il lavoro fatto da Ed non è sicuramente dispiaciuto neanche a uno come Flood, che lo ha prodotto e vi ha suonato i synth, oltre che a David Okomu degli Invisible, a Glenn Kotche dei Wilco, ad Adrian Utley dei Portishead, al compagno di band Colin Greenwood e a Laura Marling (voce nella conclusiva ‘Cloak Of The Night‘), tutte illustri collaborazioni presenti tra i credits.

Nonostante l’ampio supporto esterno, ‘Earth‘ è un’opera che riflette pienamente il suo ideatore: non si lascia mai andare completamente, ma conserva in tutto il suo scorrere, anche all’aumentare dei bpm, un profilo sobrio quanto colto, sufficiente a far mantenere in chi ascolta un buon livello di attenzione. I brani più eterei e acustici (‘Long Time Coming‘, ‘Mass‘, ‘Sail On‘ e ‘Cloak Of The Night‘) si bilanciano con quelli più modulati (‘Shangri-La‘, ‘Deep Days‘, ‘Banksters‘, ‘Olympic‘) in un’alternanza che lo rende un disco tutt’altro che monotono. Il giudizio può essere, a seconda dei punti di vista, un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: di certo non c’è l’audacia creativa della sua band principale, e si rende evidente quanto Ed abbia bisogno dei compagni per eccellere, ma allo stesso tempo ‘Earth‘ mostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il suo apporto ai Radiohead è tutt’altro che secondario. Nello specifico si tratta senza dubbio di un buon debutto, che potrà essere apprezzato come spin-off della band di Oxford, ma che forse non ha sufficiente impatto da risaltare di per sé.

VOTO: 🙂



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