Ex:Re: ‘Ex:Re’ (4AD, 2018)


Genere: dream-folk | Uscita: 30 novembre 2018

Capita a tutti, prima o poi, di porre termine a una relazione. Da qualunque parte si stia, la fine di una storia importante non si può (quasi) mai annoverare tra i momenti più esaltanti della propria esistenza. C’è quel senso di vuoto, di assenza; c’è la nostalgia delle parole, dei gesti, persino della routine. E’ un po’ quanto deve aver provato Elena Tonra quando ha cominciato a scrivere le canzoni di quello che a tutti gli effetti è il suo primo album solista. Si trovava in un periodo di pausa dall’attività della sua band, i Daughter, e l’unica possibile valvola di sfogo era proprio mettersi a scrivere e comporre. Che si tratti di un disco sulla separazione è peraltro evidente sin dal suo titolo, che è anche il moniker adottato per l’occasione: ‘Ex:Re‘, come “regarding ex” ma anche “X-ray“, raggi X, per guardarsi dentro.

L’intimità fatta emergere dalla musicista londinese in quest’opera è, come dice lei stessa, “una catarsi“, ma anche qualcosa di cui andare fiera proprio perché autenticamente personale. Per questo, una volta terminato, non ci ha pensato due volte: in un paio di settimane ‘Ex:Re‘ è stato annunciato e quindi pubblicato, come se l’urgenza che ha portato alla sua scrittura fosse anche un’urgenza di condivisione. Del resto, per descrivere le dieci canzoni di questo lavoro, la pressrelease parla di “lettere mai spedite, a sé stessa e agli altri“. E’ qualcosa di essenziale per superare qualsiasi trauma: parlarne, esternare, sfogarsi.

Grazie al fondamentale apporto del batterista e produttore Fabian Prynn, le private riflessioni della Tonra acquistano ancor più trasporto e ardore. Ascoltare ‘Ex:Re‘ non è poi così differente dall’ascoltare un album dei Daughter: la voce eterea della cantautrice inglese disegna pressoché le stesse linee melodiche, con atmosfere non molto dissimili a quanto contenuto nei due LP del trio. Ciò che al contempo rende questo disco differente è la sua disposizione, la sua cupezza, la sua esplicitata solitudine. A scandirne la parabola sono spesso i suoni accessori stratificati da Prynn: le sue percussioni, il violoncello di Josephine Stephenson, piccole ma essenziali parti sintetiche, tutti elementi che si sommano con parsimonia ma con giustezza a chitarra acustica e pianoforte. I tappeti sonori che da ciò si sviluppano sono così l’esemplificazione dei vari passaggi del percorso emotivo di Elena, che con la sua voce e le sue liriche interpreta in maniera autentica e toccante quanto ha provato. Renderlo così tangibile è il grande pregio di questo album, da ‘Crushing‘ a ‘New York‘, da ‘Romance‘ a ‘I Can’t Keep You‘: non c’è nulla di quanto alberga in scaletta che sfiguri rispetto alla produzione della sua band principale. Anzi, a volte è anche meglio.

VOTO: 😀



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