Fenne Lily: ‘Breach’ (Dead Oceans, 2020)

Genere: indie-folk/rock | Uscita: 18 settembre 2020

Quando, alla tenera età di sette anni, i genitori le fecero interrompere la scuola per portarla un anno intero in giro per l’Europa in camper, a Fenne Lily deve essere passato per la mente di far parte di una famiglia un po’ sui generis. Artisticamente, però, è stata la sua fortuna, se è vero che fu la collezione di dischi della madre, in cui poté ascoltare i T-Rex e i Velvet Underground, a farla innamorare della musica. PJ Harvey, Joni Mitchell, Nick Drake e soprattutto Feist furono i passaggi successivi, che la indirizzarono verso il folk-rock spingendola a imparare a suonare la chitarra e a scrivere canzoni di suo pugno. Il suo primo album, ‘On Hold‘ (2018), auto-prodotto, raccoglieva proprio i brani composti nei suoi -teen, procurandogli i primi riscontri importanti, come un paio di tour americani in apertura a Lucy Dacus e Andy Shauf. Fu proprio durante le date a supporto del cantautore canadese che Fenne venne notata dal management della Dead Oceans, e messa sotto contratto.

Breach‘, dunque, è il primo album della musicista inglese a essere pubblicato da un’etichetta discografica. “Non avresti potuto prendere una decisione migliore“, le confidò Phoebe Bridgers a proposito del connubio con la label di Bloomington (Indiana), storicamente molto affine a chi si cimenta con una chitarra e la propria voce (si pensi a The Tallest Man On Earth, Mitski, Phosphorescent, la stessa Bridgers). Fenne divenne così definitivamente ‘americana’, almeno dal punto di vista musicale, recandosi a Chicago per registrare le sue nuove canzoni insieme al produttore Brian Deck e a un’istituzione come Steve Albini. È per questo che un paio di brani paiono più rock che folk (‘Alpathy‘, ‘Solipsisim‘) e alcune ballate (‘Berlin‘, ‘I, Nietzsche‘) prediligono le sei corde elettriche.

Risulta così variamente colorato il sophomore della cantautrice di Bristol, che non disdegna neanche archi (‘Elliott‘, ‘Birthday‘, ‘Laundry And Jet Leg‘), tastiere (‘Blood Moon‘, ‘I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You‘) e essenzialità acustica (‘’98‘, ‘Someone Else’s Trees‘). Un discreto eclettismo che giova a canzoni malinconiche e introspettive, composte durante un mese in totale solitudine in quel di Berlino ben prima che sopraggiungesse l’isolamento forzato. ‘Breach‘ dimostra come la Dead Oceans raramente sbagli scelta, e presenta una giovane artista che a 23 anni (classe ’97) già coniuga talento e maturità. Se consideriamo, poi, anche un’interpretazione vocale emotivamente coinvolgente, non possiamo non gradire parecchio un disco decisamente riuscito in ogni sua traccia.

VOTO: 😀



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