Glasvegas: ‘Godspeed’ (Go Wow, 2021)

Genere: noise-rock | Uscita: 2 aprile 2021

La parabola dei Glasvegas può rappresentare un’inconfutabile cartina di tornasole del vertiginoso calo di attenzione mediatica patita dal rock nel suo complesso. 13 anni fa, era il 2008, il loro album di debutto omonimo fece incetta di riconoscimenti di pubblico (2° posto nelle chart britanniche e irlandesi, disco di platino in UK e d’oro in Svezia) e critica (nella Top 10 annuale per Guardian, Observer, NME, Q e Mojo), con paragoni altisonanti come quelli con Jesus And Mary Chain e Velvet Undergorund e una rilevanza che per qualcuno sfiorava il livello dei contemporanei Arctic Monkeys e Libertines. Oggi, dell’uscita di quello che è appena il quarto album in carriera della band scozzese, si fa fatica a trovare un trafiletto, ancor più una recensione o un’intervista. Eppure, va dato atto a James Allan e soci della coerenza del loro progetto musicale, e dell’assenza di un calo qualitativo tanto marcato da giustificare un così rapido oblio. D’altra parte il sophomoreEuphoric Heartbreak‘ (2011) riuscì anch’esso a entrare nei primi 10 della UK Album Chart,  e sebbene ‘Later…When the TV Turns To Static‘ (2013) non si possa definire, a posteriori, la loro pubblicazione più riuscita, è difficile comprendere perché ai Glasvegas, improvvisamente, non si sia interessato più nessuno.

Così, sono passati pressoché inosservati anche gli oltre 7 anni di iato trascorsi da quel sfortunato terzo LP a questo nuovo ‘Godspeed‘, che ripropone una band fermamente convinta del proprio percorso, sebbene si possa eufemisticamente affermare che per percorre l’ultima tappa se la sia presa molto comoda. “Mi è successo di aver dimenticato il laptop all’aeroporto di Stoccolma con tutte le registrazioni dentro, così ho dovuto ricominciare da capo“: è una delle giustificazioni che il frontman adduce in questa intervista a una webzine francese, in cui spiega che il disco è una sorta di concept su una serie di avvenimenti che si susseguono in una stessa notte dal punto di vista dell’osservatore che vi ha potuto assistere. Musicalmente, ci sono tutti gli elementi caratterizzanti il suono di quello che al momento è un trio (la batterista Jonna Löfgren ha lasciato il gruppo l’anno scorso): chitarre distorte e rumorose, riempimento dello spettro sonoro in alternanza a momenti di apparente quiete, e grande predisposizione alla melodia e al singalong.

Dive‘, sostanziale opener che arriva dopo un breve intro, li incorpora tutti, inclusa quell’epica decadente che è sempre stata parte delle osservazioni di vita quotidiana che animano i racconti di Allan. Non troppo lontana è la successiva ‘Dying To Live‘, Glasvegas al 100%, a ribadire quella perpetua immobilità stilistica che ha probabilmente contribuito all’improvviso calo di interesse, ma che a riascoltare dopo così tanto tempo dà quello stesso effetto di nostalgico coinvolgimento che si prova imbattendosi in una vecchia foto dei bei tempi andati. ‘Keep Me A Space‘, ‘My Body Is A Glasshouse‘ e la toccante ‘Godspeed‘ confermano che i Glasvegas, per chi volesse, ci sono ancora. Se erano stati probabilmente sovrastimati 13 anni fa, non bisogna commettere l’errore di considerarli superflui ora: la loro ragione d’essere la difendono con grinta e passione, e un disco come ‘Godspeed‘ ne è una buona testimonianza.

VOTO: 🙂



Lascia un commento