Iggy Pop: ‘Every Loser’ (Gold Tooth/Atlantic, 2023)

Genere: hard-rock | Uscita: 6 gennaio 2022

Non capita spesso di vincere il Grammy Award come “Producer of the Year, Non-Classical” a soli 31 anni. Andrew Watt ci è riuscito nel 2021, dopo aver lavorato agli album di Miley Cyrus, Justin Bieber, 5 Seconds Of Summer e ad alcuni duetti di Elton John. Watt, del resto, è sempre sembrato un predestinato sin da quando, 23enne, aveva fondato i California Breed insieme a Glenn Hughes (già frontman di Deep Purple e Black Sabbath) e Jason Bonham (batterista dei Foreigner). Come li avesse convinti a suonare con lui non è noto, ma due anni dopo, nel primo EP da musicista solista, ospitava Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e Joey Castillo dei Queens Of The Stone Age alla batteria. Conoscenze illustri che gli sono tornate buone una volta intrapresa definitivamente la carriera di produttore: la backing-band di ‘Earthling‘, LP solista realizzato lo scorso anno da Eddie Vedder (con lui al desk), era formata da egli stesso insieme a Smith, all’ex bassista dei Jane’s Addiction Chris Chaney, e all’ex chitarrista dei RHCP Josh Klinghoffer.

Anche per ‘Every Loser‘, diciannovesimo album solista dell’epopea di Iggy Pop, appaltato al producer newyorkese e alla sua neonata etichetta (la Gold Tooth Records), si è partiti dalle guest star: tra collaborazioni più corpose e semplici ospitate, nei credits compaiono Duff McKagan dei Guns ‘N Roses, gli onnipresenti Smith e Klinghoffer, Travis Barker dei Blink 182, Stone Gossard dei Pearl Jam, ancora Carney con gli altri Jane’s Addiction Eric Avery e Dave Navarro, oltre che Taylor Hawkins dei Foo Fighters, in una delle sue ultime incisioni prima della tragica scomparsa. Scorrendo questo lunghissimo elenco, si evince come lo spazio creativo lasciato all’intestatario del disco sia stato molto limitato: nessuno dei brani in scaletta è accreditato al solo Iggy Pop, tra gli autori compare lo stesso Watt oltre che alcuni dei contributors sopracitati.

Ne risulta un disco che è l’esatto contrario di quanto si dice in giro: tutt’altro che un “ritorno alle origini”, bensì un pastiche sonoro che (per fortuna, possiamo malignamente aggiungere), il frontman di Detroit non aveva mai pubblicato prima. ‘Every Loser‘ è infatti un’over-produzione che ha il chiaro intento di portare l’ex Stooges nelle playlist delle numerose radio americane di mainstream-rock. Non ha nulla a che fare con la ruvidezza garage della prima parte della sua carriera, ostenta una pulizia esecutiva poi non così dissimile dagli album da classifica prodotti da Watt, ma soprattutto circonda il malcapitato Iggy di un terribile suono hard-rock che già a metà anni ’80 sarebbe suonato datato. Le canzoni, poi, sono davvero pessime: ‘Frenzy‘ ha un testo imbarazzante e una melodia assai banale, così come scontatissimo è il punk-rock di ‘Neo Punk‘, mentre gli oltre 5 minuti della conclusiva ‘The Regency‘ appaiono ridondanti e immotivati. Il fondo lo tocca però ‘Strung Out Johnny‘, un mal riuscito mash-up tra ‘Come As You Are‘ dei Nirvana e ‘Sweet Dreams‘ degli Eurythmics in cui il povero frontman viene forzato all’utilizzo del vocoder. Meno peggio, in fin dei conti, sono i brani più lenti, ‘New Atlantis‘ e ‘Morning Show‘, nei quali la stratificazione kitsch che imperversa in gran parte dell’LP si attenua, e in cui il carisma da crooner del signor Pop riesce finalmente a emergere. Ripensando a quanto fatto da Josh Homme, non moltissimi anni fa, in qualità di produttore di ‘Post Pop Depression‘ (2016), viene spontaneamente da pensare come il buon gusto sia un dono che vada al di là di una lista di contatti. In quel bellissimo lavoro la personalità dell’artista Iggy Pop, non certo ordinaria, veniva pienamente compresa e onorata. In questo brutto disco, purtroppo, se ne fa soltanto un’ingenerosa caricatura.

VOTO: 🙁



 

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