Iggy Pop: ‘Free’ (Loma Vista, 2019)

Genere: alt-rock | Uscita: 6 settembre 2019

Nonostante i lunghi capelli biondi e le esibizioni a torso nudo, l’Iggy Pop degli ultimi dieci anni è un artista diverso rispetto a quello divenuto un icona rock e punk. Sin da ‘Prelimiaires’, terzultimo suo album di inediti datato 2009, la passione per blues e jazz era stata musicalmente esplicitata. Anche ‘Post Pop Depression’ del 2016, una sorta di ritorno alle origini in chiave moderna supervisionato da Josh Homme, era un progetto musicalmente molto più complesso di quanto si possa pensare. Fu questa superiore qualità a consentire a James Osterberg di giungere al 17° posto della chart di Billboard, sua migliore classifica da solista in USA. Il successo anche commerciale di quel disco fece crescere anche la quantità di date del seguente tour, che Iggy terminò esausto mentalmente oltre che fisicamente. Aveva bisogno di qualcosa che lo facesse sentire di nuovo “libero”, ed ecco tornargli utile la passione per il jazz.

È stato lo stesso ex Stooges a contattare il versatile trombettista Leron Thomas, che insieme alla chitarrista avanguardista Noveller ha letteralmente dipinto i complessi paesaggi sonori delle sue nuove canzoni. Sono loro gli artisti che “parlano per me, io presto solo la mia voce”, come afferma lo stesso signor Pop nella nota stampa. In verità ci sono anche Lou Reed e Dylan Thomas, di cui Iggy recita due rispettivi scritti in altrettanti spoken-word (‘We Are The People‘ e ‘Do Not Go Gentle Into That Good Night‘), che in totale sono tre, le ultime tre tracce del disco. Considerato che l’opener è un intro, le canzoni vere e proprie di riducono appena a sei.

Per questo ‘Free’ è un disco che appare un po’ incompiuto, in primo luogo perché le sei canzoni di cui sopra mostrano un’interpretazione ispiratissima, una scrittura poliedrica ma soprattutto delle stratificazioni sonore molto peculiari, la cui resa rasenta la meraviglia. Il livello è altissimo sia nei brani più diretti, come la toccantissima ‘Love Missing’ e il singolo ‘James Bond’, ma anche nel crescendo un po’ claustrofobico di ‘Sonali’, nell’irriverente e sboccata ‘Dirty Sanchez’ e nel lento e a suo modo romantico crooning di ‘Page’. I tre spoken-word finali, proprio perché tali, non riescono a mantenere la ricchezza artistica della prima parte del disco, nonostante il grande lavoro svolto dalla tromba di Leron Thomas.

Free’ si palesa dunque la precisa rappresentazione di un genio assoluto, con i suoi pregi e i suoi (un po’ ridondanti) difetti. È però pressoché incredibile rilevare come quest’uomo di 72 anni abbia ancora così tante idee nella propria testa, e come ancora mantenga un’assoluta lucidità nel sapere come farle rendere al meglio.

VOTO: 🙂



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