Alcuni album, usciti nel mese appena trascorso, che meritano due parole. In rigoroso ordine alfabetico:
Black Country, New Road: ‘Forever Howlong’
Come scrive qualcuno, è una “nuova dimensione” quella dei Black Country, New Road. Che hanno sostituito un frontman con tre frontwoman, e che hanno decisamente virato su nuove soluzioni anche dal punto di vista del suono, con le chitarre elettriche quasi scomparse a favore di una strumentazione amplissima, che mette in soffitta il post-punk sperimentale dei primi dischi in luogo di un folk progressivo e barocco a volte un po’ ridondante che, per precisa scelta estetica e artistica, non va quasi mai dritto al punto. Insomma, deve piacere, e ci vuole pure tempo. 😐
Bon Iver: ‘Sable, Fable’
Un album in due parti, ben definite dal titolo, assai cerchiobottista: tornano infatti le chitarre acustiche (in ‘Sable’), ma permangono le deviazioni hip-hop (in ‘Fable’) che, a livello qualitativo, hanno storicamente annacquato la produzione firmata Justin Vernon. Chi del cantautore del Wisonsin preferisce la prima versione, vedrà questo suo quinto LP come un’occasione persa. Le molteplici produzioni (tra gli altri lo stesso Vernon, Jim E-Stack e BJ Burton) non aiutano a dargli una direzione precisa, e spesso i brani paiono un’esercizio di stile (come l’a-cappella di ‘Awards Season’ o il fastidioso campionamento di ‘Walk Home’) che di eccezionale ha soltanto la vocalità del frontman. 😐
Cloth: ‘Pink Silence’
C’è l’etichetta dei Mogwai e lo stesso Stuart Braitwaite nei credits, oltre ad Adrian Utley dei Portishead e Owen Pallett. Il produttore, Ali Chant (Perfume Genius, PJ Harvey, Yard Act) è uno dei più quotati del momento, e se tutti costoro hanno puntato su questo duo di Glasgow al terzo LP in carriera, un motivo ci sarà. E in effetti c’è, perché il pop alternativo dei gemelli Rachael e Paul Swinton è affascinante quanto appagante, e non perde peso anche quando si fa più (indie)rock. 🙂
Florist: ‘Jellywish’
Sembra quasi ultra-prodotto, il nuovo album dei Florist, se lo si paragona con i quattro precedenti. In realtà non lo è, semplicemente la folk-band newyorkese ha scelto per una volta un approccio hi-fi e qualche stratificazione in più, che rende questo disco distintivo in una discografia caratterizzata da un preciso stile musicale, non disperdendo la spontaneità e la forza empatica del songwriting di Emily Sprague, sempre di grande livello. Una conferma, che forse potrebbe rappresentare anche il volo definitivo presso le vette della notorietà? Lo meriterebbero. 😀
Julien Baker & Torres: ‘Send A Prayer My Way’
L’idea di appaiare delle cantautrici indie-folk non è, allo stato attuale, originalissima (vedasi Boygenius, di cui la stessa Baker fa parte, o Plains), e ancor meno la decisione di puntare su un country-folk assai tradizionale senza approfondire alcuna possibile rivisitazione. Il risultato è un disco certamente godibile ma poco interessante, che si dirada all’orizzonte del confronto sia con i succitati paragoni, sia rispetto alle opere soliste delle due musiciste americane. 🙂
Momma: ‘Welcome To My Blue Sky’
Non bisogna certo farsi venire il mal di testa, per ascoltare i Momma, anzi. È altresì assai piacevole intrattenersi con un indie-rock molto orecchiabile, che potrebbe essere più propriamente definito power-pop, ma che non cambia la sostanza delle canzoni contenute in questo loro quarto album in carriera. ‘Welcome To My Blue Sky’ è il classico disco che si finisce per ascoltare più di quanto ci si aspetti, o si ammetta a sé stessi di farlo. 🙂
Real Lies: ‘We Will Annihilate Our Enemies’
Ormai in giro da un decennio, i Real Lies seguitano a suonare urbanamente freschi e contemporanei. Il loro terzo LP è ancora più alternativamente dance, ma non certo superficiale, anche grazie a quello che dice il frontman/MC Kev Kharas. La parte elettronica di Patrick King è intensa e tratti anche snervante, donando profondità e tensione a un disco che dovrebbe far ballare, cosa non da poco. 😀
Samia: ‘Bloodless’
Le melodie più orecchiabili della carriera di Samia sono accompagnate da arrangiamenti caldi ma non troppo sofisticati, lasciandole libere di librarsi ma sostenendole, se necessario, anche rumorosamente. Tutto ciò fa sì che, al terzo album, la cantautrice americana realizzi un piccolo capolavoro di raffinatezza e sincerità, virando stilisticamente verso l’indie-folk ma non scordando le giornate passate in cameretta. 😀
Tunde Adebimpe: ‘Thee Black Boltz’
A undici anni dall’ultimo album con i TV On The Radio, il succinto (35 minuti soltanto) ma densissimo esordio solista di Tunde Adebimpe ha dell’eccezionale. Per quantità di idee soprattutto, ma anche per la scelta di srotolarle tutte dalle parti di un dancefloor. Si raggiungono livelli di godimento assoluto (come in ‘Somebody New’), ma c’è anche tanta introspezione (‘Drop’, ‘Ily’, ‘Blue’) e una performance interpretativa di grande livello (‘Ate The Moon’, ‘Pinstack’, ‘God Knows’). 😀
Viagra Boys: ‘Viagr Aboys’
Sembra ‘il solito disco punk-rock’ il quarto dei Viagra Boys, quantomeno nel primo paio di pezzi. Ma poi diventa ben di più, con tracce anche a loro modo intime (‘Medicine For Horses’) e pezzi quasi sperimentali (‘Best In Show Pt. IV’), nel mezzo della consueta satira sociale dello stream of consciousness di Sebastian Murphy. Gran bella conferma. 😀