Genere: experimental-blues | Uscita: 8 aprile 2022
Dal primo album dei White Stripes (‘The White Stripes‘, 1999) di anni ne sono passati 23; oggi Jack White ne ha il doppio di allora, 46, eppure seguita a sfornare dischi come se non ci fosse un domani. Due in una volta sola, per inciso, il quarto e quinto da solista, che diventano il sedicesimo e diciassettesimo se ci si prende la briga di sommare le uscite dei già menzionati White Stripes, dei Raconteurs, dei Dead Weather e quelle con le proprie generalità. Così tanto tempo per comporre glielo ha dato la pandemia, che ha bloccato l’attività che gli è sempre riuscita meglio – quella di suonare dal vivo – ma gli ha consentito di portare avanti le sue tante iniziative parallele: l’etichetta, la Third Man Records, che da qualche tempo a questa parte sembra avere l’ambizione di mettere sotto contratto band dal discreto potenziale commerciale, e la sua passione per arte e design, visibile in tante copertine passate (ad esempio in quella di ‘De Stijl‘ del 2000), e concretizzatasi in una certa abilità nella ristrutturazione di mobili antichi per cui aveva fatto praticantato ben prima che potesse immaginare di vivere di musica.
“Il lockdown per me è stato di grande ispirazione“, racconta Jack, che uno studio perfettamente attrezzato ce l’ha di proprietà in quel di Nashville, e in cui si è chiuso per registrare una cinquantina di pezzi suonando da solo tutti gli strumenti, che poi ha ridotto a 23 dividendoli in due album. Non aveva un’idea precisa di come ripartirli, White, semplicemente ha trovato che quelle più elettriche stavano bene tra di loro, e quelle più “soft” pure. Il doppio album (“ma l’industria discografica al momento non sembra amarli molto“) sono diventati due LP singoli, che non potevano essere pubblicati insieme per le correnti limitazioni nella stampa dei vinili. Così, a seguire ‘Boarding House Reach‘ (2018) c’è il ruvidissimo ‘Fear Of The Dawn‘, un disco che Captain Beefheart avrebbe apprezzato parecchio, e probabilmente lo hanno fatto Jon Spencer (rimembrando la sua Blues Explosion) e i Death From Above 1979.
Sembra una versione boosted dei White Stripes la prima tripletta di questa scaletta (‘Taking Me Back‘, ‘Fear Of The Dawn‘, ‘The White Raven‘), veloce e chiassosa e così piena di rumori stratificati e filtrati. È un peccato che nella parte centrale il musicista nato a Detroit si sia mostrato troppo indulgente con lo sperimentatore che è in lui, e abbia finito per appesantire e confondere un LP che pareva avere un ottimo focus: l’ospitata rap di Q-Tip in ‘Hi-De-Ho‘ sembra appiccicata sopra alle sue chitarre più per una scelta commerciale che artistica, ‘Into The Twilight‘ è piuttosto ridondante e pare più un remix di ‘Robot Rock‘ dei Daft Punk che un pezzo con una propria personalità, e pure ‘What’s The Trick‘ ha l’aria poco concreta del divertissement. Come ben si è aperto, però, ‘Fear Of The Dawn‘ si chiude: ‘That Was Then, This Is Now‘, ‘Morning, Noon And Night‘ e ‘Shedding My Velvet‘ ripropongono quella sua versione 2.0 di inizio disco, e soprattutto il rock-blues che White sa suonare benissimo. Peccato, un po’ più di amalgama e questo disco sarebbe stato bello. Sarà probabilmente surclassato da ‘Entering Heaven Alive‘, se non altro per la première di un approccio che egli stesso definisce “gentle“, per cui bisognerà attendere fino al 22 luglio.