Genere: brit-rock | Uscita: 3 agosto 2018
“Avevamo capito che stava succedendo qualcosa già quando il Leicester ha vinto la Premier League, poi è arrivata la Brexit, quindi Trump. E’ come se fossimo scivolati in una realtà alternativa, come in un romanzo di Philip K Dick. Stiamo vivendo tempi straordinari.”
Questa sarcastica affermazione del frontman Tim Booth, inclusa nella nota introduttiva di ‘Living In Extraordinary Times‘ (il 15° album in carriera per i James), descrive meglio di ogni altra molte delle ragioni di questo disco. Illustra perfettamente un sentimento di ribellione alla moderna decadenza politica e morale che è presente in ognuna delle dodici composizioni in scaletta. La frustrazione di Tim e soci è con grande trasparenza esplicitata da testi che per la storica band inglese non sono mai stati così diretti e rabbiosi: “White fascists in the white house, more beetroot in your Russian stew“, si dice nell’opener ‘Hank‘.
Nonostante siano in pista da ben 36 anni e nonostante più di 25 milioni di copie vendute in carriera, i James non si sono mai seduti sugli allori, neanche dopo la reunion del 2011. Per questo, dopo due album di grande successo (anche economico) hanno deciso di affidarsi a un nuovo produttore, ingaggiando il ‘giovane’ Charlie Andrew, ovvero colui che si è occupato di tutti e tre i dischi degli Alt-J. Se l’obbiettivo era dare una rinfrescata al suono del collettivo di Manchester e supportarne le invettive politiche, il risultato non è pienamente conseguito: ‘Living In Extraordinary Times‘ ha al solito una stratificazione molto densa (i componenti del gruppo sono attualmente ben otto), ed è tratteggiato da una grandiosità che è sempre stata caratteristica nella loro musica. Andrew non sembra dunque aver voluto imporre il proprio marchio né indicare una direzione definita, lasciando alla sfaccettata personalità della band la quasi completa libertà di espressione.
Il risultato finale è in parte mirabile: il succitato opener ‘Hank‘ ad esempio, brano migliore del lotto, mostra come i James siano ancora in grado di scrivere grandi anthem senza impantanarsi nei cliché del gruppo ultra-affermato da UK chart; il tappeto di percussioni che dà spinta a tutto il pezzo ne è un fulgido esempio. L’ora di durata di questo disco include però anche passaggi meno brillanti, soprattutto quando Booth e compagni vanno a puntare su stadium-ballad un po’ retoriche come ‘Coming Home pt. 2‘, ‘Extraordinary Times‘ o ‘What’s It All About‘. In questo caso il tag “rocker anziani alla U2” si fa pericolosamente accostabile. E’ invece quando le composizioni dei James aumentano il tiro e si avvicinano al club (la dance dalle mirabili aperture melodiche di ‘Leviathan‘, l’art-rock ritmato di ‘Heads‘, il post-punk Curesco di ‘Picture Of This Place‘) che si ascoltano le cose migliori. ‘Living In Extraordinary Times‘ è in definitiva un disco ricco e vario, opera di una band che ha ancora diverse cose da dire, di cui alcune (ma non tutte) interessanti.