Genere: folk-rock | Uscita: 16 ottobre 2020
È stato un 4 tracce, il modello 424 della Tascam, la ragione principale di ‘Sundowner‘, il sesto album in carriera di Kevin Morby. Un disco che arriva piuttosto celermente rispetto al precedente ‘Oh My God‘, uscito ad aprile 2019, proprio perché l’apparecchio era stato inizialmente acquistato per quelle registrazioni. Alla fine non servì, la struttura di quell’LP richiedeva un supporto più hi-fi, ma a Kevin rimase la voglia di provarlo, quell’oggetto, e c’è da dire che ha finito per goderselo parecchio: “Ho scritto l’intero album con le cuffie, chinato sul 424, lasciando passare la mia voce e la mia chitarra attraverso la macchina, perdendomi nel calore del nastro come se un’altra versione di me stesso vi vivesse dentro, cantando rivolgendosi a me. Sono rimasto ipnotizzato dalla magia del quattro tracce non solo come supporto di registrazione, ma anche come strumento, e l’ho considerato il mio partner di scrittura durante l’intero processo“, spiega nella press-release della Dead Oceans.
A rendere ‘Sundowner‘ quello che è ha contribuito anche il ritorno nella sua città, Kansas City, dove aveva vissuto sino a 18 anni: “Ero felice di avere – per la prima volta nella mia età adulta – un posto dove chiudere la porta, senza altre tentazioni se non lavorare sulla musica e riflettere su ciò che avevo costruito da quando me ne ero andato“. Dopo qualche tempo è stato raggiunto da Katie Crutchfield, in arte Waxahatchee, per alcune visite da musicista amica ben presto stabilizzatesi in una relazione duratura. Il tocco finale al disco, dato in uno studio in Texas (“volevo assicurarmi che venisse registrato lontano da qualsiasi costa, nel cuore dell’America“) insieme al produttore Brad Cook, lo ha definitivamente modellato come acustico, minimale e introspettivo, quasi uno stream of consciousness di meditazione sulla propria vita, a distanza di sicurezza dalle tentazioni stranianti di una metropoli come Los Angeles (dove Morby aveva la residenza prima del rientro a casa). La ritrovata countryside è perfettamente rappresentata da un folk-rock molto tradizionale, vicinissimo alla definizione di “Americana“, una potenziale colonna sonora per l’attraversata on the road di interminabili praterie.
Kevin, il Kansas e il 4 tracce hanno dunque fatto sì che ‘Sundowner‘ mantenga lungo tutto il suo trascorrere una specifica estetica, che ne fa probabilmente l’album meno vibrante dell’intera discografia del cantautore americano, ma che lo rende uno spaccato perfetto di una particolare parentesi della sua vita. Composto e registrato in quasi totale solitudine, si addice parecchio anche a una quarantena, sebbene l’idea sia stata precedente. Come durante il lockdown un po’ a tutti è capitato di apprezzare l’essenzialità delle piccole cose, gli ascolti ripetuti e stoici fanno apparire questo disco via via sempre più convincente. Fino a che non si torna alla vita reale (o a risentire ‘City Music‘ e ‘Oh My God‘) e non si può non constatare come, nonostante tutta la buona volontà, fosse meglio prima. Nello specifico, sono la diffusa quiete e l’uniformità estetica ed emotiva a non consentire di preferire ‘Sundowner‘ ai precedenti capitoli della discografia di Morby, nonostante si tratti di un lavoro comunque interessante all’interno di una carriera ormai molto solida.