King Tuff: ‘The Other’ (Sub Pop, 2018)

Kyle Thomas in arte King Tuff suona la chitarra da quando aveva 7 anni. Fu allora che suo padre, grande appassionato di musica, gli regalò una Stratocaster, e per lui fu una vera e propria folgorazione in età infantile, che gli fece decidere che nella vita avrebbe fatto quello, il chitarrista. Dopo 10 anni di carriera, quattro album e centinaia di concerti, Thomas ha però sofferto una sorta di crisi di rigetto nei confronti del suo essere rocker, e soprattutto dell’alter-ego con cui ha conquistato la notorietà. Aveva bisogno di una pausa, di ricominciare da zero, di essere più Kyle che King. Il periodo sabbatico ha fatto riflettere il musicista del Vermont sul fatto che anche l’approccio alla composizione delle canzoni doveva cambiare. Si è così costruito uno studio domestico e ha deciso di cominciare a scrivere i nuovi pezzi partendo dalla chitarra acustica, per poi completare la sua personale rivoluzione artistica mettendosi a suonare la quasi totalità degli strumenti e producendo egli stesso il suo nuovo lavoro.

In realtà, ‘The Other‘ non è per niente un album acustico. Al contrario, è il disco con la più ampia strumentazione mai utilizzata da King Tuff. C’è da dire che King/Kyle fa parte di un bel giro, quello di Ty Segall (è stato anche un membro dei suoi Muggers), una cerchia che non fa mai mancare il proprio apporto: lo stesso Ty ha suonato la batteria in diversi brani, Mikal Cronin il sassofono, ai cori si sono cimentate Jenny Lewis, Greta Morgan e ancora Segall.

Il risultato è un album in un certo senso fastoso, che satura lo spettro sonoro con chitarre, tastiere, fiati, percussioni, cori. Ha un carattere introspettivo esplicitato musicalmente soltanto dalla title-track posta in apertura, dopo la quale è evidente come King Tuff riprenda il sopravvento su Kyle, con l’obbiettivo di inanellare aperture melodiche e ritornelli da cantare a squarciagola. Si susseguono così altre nove tracce estremamente godibili, condite di tanti elementi, dal tipico tocco psichedelico (‘Birds Of Paradise‘, ‘Ultraviolet‘) a un’inedita esuberanza folk-rock (‘Infinite Mile‘, ‘Circuits In The Sand‘), a un ‘tiro’ funkeggiante (‘Raindrop Blue‘, ‘Psycho Star‘) che non manca di far muovere il piedino a ripetizione. Insomma, ‘The Other‘ si lascia ascoltare alla stragrande, e in questo amalgama di ridondante catchiness manca solo una cosa: un po’ più di specificità.

VOTO: 🙂



 

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