Kurt Vile: ‘Bottle It In’ (Matador, 2018)


Genere: psych/folk-rock | Uscita: 12 ottobre 2018

E’ stato sempre molto occupato Kurt Vile da quando, nel 2009, decise di lasciare i War On Drugs per concentrarsi sulla propria carriera solista. Dopo i primi due album, che erano sostanzialmente raccolte di registrazioni casalinghe, il crinuto rocker di Philadelphia ha fatto uscire più o meno un LP ogni due anni. Ce ne sono voluti tre per questo ‘Bottle It In‘, che segue ‘B’lieve I’m Goin Down….‘ del 2015, quello che conteneva la sue prima e vera e propria hit finita nella classifica di Billboard, ‘Pretty Pimpin‘. Nel conteggio non va peraltro dimenticato il disco in condominio con Courtney Barnett pubblicato lo scorso anno.

L’agenda colma di impegni ha fatto sì che questo suo settimo album in carriera dovesse essere registrato un po’ qua un po’ là, tra una data e l’altra dei vari tour che per il cantautore americano è abitudine intraprendere. Ha dovuto approfittare di ogni breve momento libero, entrando in studio ogni qual volta fosse possibile, da Los Angeles a Portland, da Brooklyn al Connecticut fino alla stessa Philadelphia. La fama che lo precede ha fatto sì che ad attenderlo ci fossero alcuni tra i migliori produttori in circolazione: Rob Schnapf, Shawn Everett, Peter Katis, oltre al fedele Rob Laakso, componente della sua backing band The Violators. Anche per questo, ‘Bottle It In‘ è un lavoro molto eterogeneo, in cui entrano a far parte composizioni musicali molto diverse tra loro, da centrate ed essenziali canzoni di 3-4 minuti a jam session che non sembrano terminare mai.

Se la rigogliosa creatività di Vile possa in assoluto considerarsi un pregio o un limite lo diranno i posteri. L’opinione di chi vi scrive è che ‘Bottle It In‘ non sia un brutto disco, che poteva diventare bellissimo con una maggiore cernita e una superiore capacità di sintesi. Inizia davvero bene, la prima metà combina classe a gradevolezza, il suo folk-rock imbevuto nella psichedelia è quanto di meglio potrebbe accompagnare un road trip, situazione in cui peraltro parte di questi brani sono stati scritti (tra i sopracitati impegni recenti c’è stato anche un lungo viaggio in auto con moglie e figli). Persino gli oltre 9′ di ‘Bassackwards‘, miglior brano in scaletta grazie al suo appiccicosissimo loop di chitarre, passano in un baleno. Purtroppo però, i quasi 8 di ‘Check Baby‘, seguiti dai poco meno che 11 della title-track, si pongono come un’improvvisa barriera difficilmente valicabile. Più in generale, tutta la seconda parte dell’album si perde in ghirigori da chitarrista incallito e smarrisce brillantezza, così che diventa un po’ arduo giungere al fatidico 78° minuto che ne sigla il termine. ‘Bottle It In‘ è, insomma, un lavoro che rispecchia fedelmente le due anime del proprio creatore, delle quali il nostro personale gusto predilige senza dubbio alcuno la prima.

VOTO: 😐



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