La Top 5 dell’anno: 1998

In ‘Alta Fedeltà’, il romanzo più celebre di Nick Hornby, il protagonista, proprietario di un negozio di dischi, era solito ‘giocare’ con i propri dipendenti/amici nel redarre alcune classifiche, composte solamente da cinque posizioni, sugli argomenti più disparati. Ovviamente, grande spazio avevano quelle musicali. Analogamente, e anche in quanto colta citazione (tutti voi, se non l’avete già fatto, dovreste leggere ‘Alta Fedeltà’), si è pensato di fare un analogo giochino a proposito degli album pubblicati negli ultimi 24 anni. Ovviamente sono classifiche che non hanno alcuna pretesa di avere un valore assoluto, ma vogliono essere soltanto un modo per ricordare i bei tempi andati e alcuni album che hanno fatto la storia recente.


1. Elliott Smith: ‘XO’ (DreamWorks, 1998)

Il 1998 fu l’anno della definitiva consacrazione di Elliott Smith, all’epoca meno che trentenne cantautore cresciuto a Portland, Oregon. La svolta a dicembre 1997, quando Gus Van Sant inserì tre canzoni di ‘Either/Or‘, il suo terzo LP uscito il febbraio precedente, nella colonna sonora di ‘Good Will Hunting‘, blockbuster con Matt Damon, Robin Williams e Ben Affleck. Soprattutto ‘Ballad Of Big Nothing‘ catturò le attenzioni di pubblico e critica, con gran parte di quest’ultima che finì per scoprire il disco un anno dopo la pubblicazione. Smith, però, ne aveva già pronto un altro, altrettanto meraviglioso, intitolato ‘XO‘, che uscì ad agosto 1998 per la Dreamworks di David Geffen e Steven Spielberg. Come il suo predecessore, riusciva splendidamente a conciliare le due grandi passioni di Elliott: Bob Dylan e i Beatles. Purtroppo, solo cinque anni dopo il cantautore americano si tolse la vita. La sua eccezionalità è testimoniata dalla moltitudine di pubblicazioni postume che si sono succedute negli anni seguenti la sua scomparsa.


2. Sparklehorse: ‘Good Morning Spider’ (Capitol, 1998)

Altro genio incompreso che ci ha lasciati troppo presto è Mark Linkous in arte Sparklehorse, di cui ‘Good Morning Spider‘ fu il ricchissimo (17 tracce) sophomore. Il disco fu preceduto da un evento terribile: mentre era in tour con i Radiohead, Linkous mischiò alcol e droghe e andò in overdose nella sua stanza di albergo. Trovato privo di sensi dopo 14 ore in cui il suo corpo aveva schiacciato le sue gambe, subì un arresto cardiaco e diverse operazioni prima di poter nuovamente camminare. L’accadimento ebbe anche pesanti conseguenze sulla psicologia del musicista, causandogli un irreversibile depressione culminata, nel 2010, con il suicidio. Tanta sofferenza è chiaramente udibile nelle canzoni di questo LP, che Mark iniziò a scrivere quando era ancora ricoverato. La maggior parte sono ballate acustiche ‘disturbate’ spesso da rumori a bassa fedeltà, sulle quali poggia la struggente interpretazione del cantautore nato a Richmond, Virginia. ‘Saint Mary‘, ‘Come On In‘, ‘All Night Home‘ e ‘Hundreds Of Sparrows‘ sono esempi da pelle d’oca. Fanno da contraltare autentici sfoghi elettrici come ‘Pig‘, ‘Chaos Of The Galaxy/Happy Man‘, ‘Cruel Sun‘ e ‘Ghost Of His Smile‘.


3. Air: ‘Moon Safari’ (Source, 1998)

La seconda metà degli anni ’90 vide la Francia porsi come ‘terzo polo’ della creatività musicale internazionale, andando a contrastare il tradizionale duopolio Stati Uniti/Gran Bretagna. Quello che venne definito “French Touch“, movimento sviluppatosi soprattutto nella capitale Parigi, portò alla ribalta decine di artisti legati soprattutto all’uso dell’elettronica, che non era però unicamente destinata al consumo di club e discoteche. Fulgido esempio è ‘Moon Safari‘, esordio e capolavoro assoluto degli Air, duo composto da Jean-Benoit Dunckel e Nicolas Godin, non dei DJ ma autentici compositori e autori di un ibrido tra dream-pop, trip-hop e chill-out a base di organi e synth e dalle atmosfere vintage e cinematografiche. Chi non ha ascoltato almeno una volta ‘Sexy Boy‘, ‘All I Need‘ o ‘Kelly Watch The Stars‘?


4. Massive Attack: ‘Mezzanine’ (Virgin, 1998)

Dopo il clamoroso successo di critica e pubblico di ‘Blue Lines‘ (1991) e ‘Protection‘ (1994), i Massive Attack erano chiamati alla grande conferma con il loro primo album che puntava dichiaratamente anche alle classifiche. La band si prese quattro lunghi anni per realizzare questo disco, anche a causa di deterioratissimi rapporti interni. Ciononostante Neil Davidge, produttore ma per l’occasione anche abile mediatore, riuscì, sebbene molto faticosamente, a mettere insieme il contributo, quasi sempre fornito individualmente, di Robert Del Naja, Grant Marshall e Andrew Wowles. Ancora una volta, il risultato era eccezionale nel vero senso del termine: i Massive Attack resero il loro trip-hop ancora più cupo, ampliandolo con nuovi innesti rock, hip hop, dub ed elettronici. ‘Teardrop‘, cantata da Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, fu senza dubbio il brano più rappresentativo, ma citiamo anche ‘Angel‘, ‘Inertia Creeps‘ e ‘Man Next Door‘.


5. Mercury Rev: ‘Deserter’s Song’ (V2, 1998)

L’album che finì più frequentemente in cima alle classifiche delle riviste musicali nel 1998 fu ‘Deserter’s Songs‘, quarto LP dei Mercury Rev, psych-rock band di Buffalo capitanata dal frontman Jonathan Donahue e dal chitarrista Sean ‘Grasshopper’ Mackowiak. Fu una sorpresa per tutti: il precedente ‘See You On The Other Side‘ (in cui il gruppo credeva molto) ebbe scarsi risultati di vendita, così che Jonathan e soci decisero di lavorare al successivo infischiandosene di quanto sarebbe potuto essere apprezzato, ma realizzandolo unicamente per compiacere sé stessi. Ispirato da alcune canzoni per bambini che Donahue si era trovato a riascoltare, vide l’apporto decisivo di Dave Fridmann al mixaggio, che sostituì le chitarre con gli archi e creò quel suono ‘fiabesco’ che tutt’oggi è rimasto irreplicato, anche dagli stessi Mercury Rev. ‘Goodess On A Hiway‘, ‘Opus 40‘ e ‘Delta Sun Bottleneck Stomp‘ ne sono i momenti più alti.


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