La Top 5 dell’anno: 2000

In ‘Alta Fedeltà’, il romanzo più celebre di Nick Hornby, il protagonista, proprietario di un negozio di dischi, era solito ‘giocare’ con i propri dipendenti/amici nel redarre alcune classifiche, composte solamente da cinque posizioni, sugli argomenti più disparati. Ovviamente, grande spazio avevano quelle musicali. Analogamente, e anche in quanto colta citazione (tutti voi, se non l’avete già fatto, dovreste leggere ‘Alta Fedeltà’), si è pensato di fare un analogo giochino a proposito degli album pubblicati negli ultimi 24 anni. Ovviamente sono classifiche che non hanno alcuna pretesa di avere un valore assoluto, ma vogliono essere soltanto un modo per ricordare i bei tempi andati e alcuni album che hanno fatto la storia recente.


1.Radiohead: ‘Kid A’ (Parlophone, 2000)

Entrati nel nuovo millennio, i Radiohead, nonostante il successo, continuavano a soffrire di turbolenze interne e di insoddisfazione artistica. In particolare Thom Yorke, che prese definitivamente in mano la leadership del gruppo esortando i compagni a pensare a “più ritmi e meno melodie“. Il suo virare deciso verso sintetizzatori e drum machine lasciò di primo acchito interdetti i compagni di band, che non sapevano più neanche che strumenti suonare. Tutto si ricompose in studio, dove insieme (ma per principale merito di Jonny Greenwood) perfezionarono quello che sarebbe diventato il loro nuovo suono, che condensava le influenze più disparate, da Aphex Twin ai Talking Heads, da Bjork al krautrock, dal jazz alla Beta Band. Era comunque qualcosa di diversissimo da ‘OK Computer‘, che già era diverso da ‘The Bends‘, per non parlare di ‘Pablo Honey‘. Rappresentò un’altra tappa fondamentale nell’evoluzione del gruppo e di tutta la musica contemporanea.’Kid A‘ dimostrava come una ricerca artistica portata all’estremo poteva anche coniugarsi con un altissimo numero di copie vendute: fu disco di platino in USA, UK, Canada, Giappone, Francia e Australia.


2. Queens Of The Stone Age: ‘Rated R’ (Interscope, 2000)

Fu ‘Rated R‘ l’album che diede gloria (a oggi ancora imperitura) ai Queens Of The Stone Age, band proveniente dal deserto della California e capitanata dall’ex Kyuss Josh Homme. Fu un disco fondamentale anche perché permise allo stoner-rock di diventare un genere musicale di dominio pubblico. Venne composto sotto l’effetto di una marea di droghe, soprattutto LSD, e con l’importantissimo contributo del bassista Nick Oliveri (altro ex Kyuss) e di Mark Lanegan, che presta la voce a vario titolo in quattro brani. Caratterizzato da una serie impressionante di appiccicosissimi riff di chitarra e da una inedita commistione di generi (dal metal ai Beatles), ha in ‘The Lost Art of Keeping a Secret‘ e ‘Feel Good Hit of the Summer‘ i brani trainanti, per cui ancora oggi si salta sulla sedia.


3. Primal Scream: ‘XTRMNTR’ (Creation, 2000)

Altra decisa sterzata creativa targata 2K è il sesto album dei Primal Scream, mai così esplicitamente politicizzati nei testi e mai così heavy nei suoni, costruiti su robusti beat elettronici. La scena big-beat inglese di fine ’90 fu una chiara influenza, tanto che di ‘Swastika Eyes‘ sono presenti in scaletta ben due diversi remix. Ragione accessoria di tale riposizionamento è sicuramente l’ingresso nella line-up del gruppo dell’ex Stone Roses Mani, ma ‘XTRMNTR‘ prosegue un lungo discorso artistico, sempre imprevedibile ma costantemente entusiasmante, cominciato ai tempi di ‘Screamadelica‘.


4. Blonde Redhead: ‘Melody Of Certain Damaged Lemon’ (Touch And Go, 2000)

Sarà il passaggio dal secondo al terzo millennio, ma caratteristica comune a diversi album usciti nel 2000 fu un marcato cambiamento stilistico. Accadde anche per i Blonde Redhead, band newyorkese composta da due componenti di origine italiana (i fratelli Amedeo e Simone Pace) e da una di origine giapponese (la frontwoman Kazu Makino). Come fa intendere il titolo, la trasformazione del trio cosmopolita consistette in una inedita, almeno fino ad allora, predisposizione alla melodia, che non impedì loro di conservare diversi elementi noise. Prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi, era ricco di piccoli capolavori di grande intensità emotiva (‘Hated Because Of Great Qualities‘, ‘For The Damaged‘) e oblique ed eclettiche ballate indie-pop (‘In Particular‘, ‘This Is Not‘). Per chi vi scrive, il miglior album dei Blonde Redhead in assoluto.


5. Coldplay: ‘Parachutes’ (Parlophone, 2000)

Fu compito dei Coldplay consolare i fan dei Radiohead delusi dal cambio di prospettiva dei propri beniamini. Ben lontani dall’essere la band tutta lustrini e paillettes dei giorni nostri, Chris Martin (che dichiarava candidamente di essere ancora vergine) e soci si affacciavano timidamente al grande pubblico con questo esordio preceduto da un battage mediatico con pochi precedenti. I Coldplay erano considerati per distacco la next big thing, e ‘Parachutes‘ non deluse le attese. Il loro mood minimale e molto intimo catturò anche i cuori dei reduci del brit-pop e portò brani come ‘Yellow‘, ‘Shiver‘, ‘Trouble‘ e ‘Don’t Panic‘ a diventare autentici evergreen.


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