Mitski: ‘Be The Cowboy’ (Dead Oceans, 2018)

Genere: art-pop | Uscita: 17 agosto 2018

Di padre americano e di madre giapponese, Mitski Miyawaki vive a New York da quando è adolescente. E’ cresciuta con i CD degli Smiths del padre e con quelli di pop giapponese della madre, che ebbero una parte importante nella decisione di iscriversi al conservatorio. Fu proprio durante gli studi che, all’interno di alcuni progetti didattici, realizzò i suoi primi due album auto-prodotti. Cominciò a fare sul serio nel 2014, quando la Double Double Whammy le consentì di pubblicare il primo disco vero e proprio, ‘Bury Me At Makeout Creek‘: da allora Mitski è divenuta una beniamina della critica musicale, status se possibile ancor più accresciutosi dopo la pubblicazione di ‘Puberty 2‘ del 2016, questa volta per Dead Oceans. E’ stato il disco della svolta, che le ha portato più diffuse attenzioni, tra cui quelle di Pixies e Lorde, che l’hanno voluta in tour con loro.

E’ proprio il biennio 2016/2017, ovvero quello della raggiunta popolarità, che ha influito pesantemente in testi e atmosfere di questo suo nuovo LP. Con il collaboratore di lunga data Patrick Hyland, Mitski è entrata e uscita da una moltitudine di studi di registrazione tra un concerto e l’altro. “Volevamo ricreare l’atmosfera di una persona da sola sul palco, illuminata da una singola luce, e il resto del locale buio“: è così che dice di essersi sentita la cantautrice nippo-americana in quel periodo; ‘Be The Cowboy‘ è un album (anche) sulla solitudine artistica, oltre che personale e sentimentale. La voce sempre in primo piano, registrata in presa diretta, mai sovra-incisa, è un pertinentissimo modo per rendere al meglio queste sensazioni.

Oltre all’abilità di songwriter e al virtuosismo della produzione, è proprio il coinvolgimento emotivo di Mitski in quanto individuo che emerge dalle note di questo album. E’ un’opera che va ascoltata con attenzione e ripetutamente per coglierne il senso, ma che di certo va al di là del bel canto. Si è di fronte a un’artista che si mette a nudo, risultando estremamente sincera e riuscendo a smuovere nell’ascoltatore quel qualcosa in più che fa la differenza. Mitski giunge a tutto ciò con una discreta varietà di approcci, in maniera volutamente diversa da quanto fatto in passato (“Volevo essere certa di non ripetermi e volevo evitare che mi potesse essere associato un determinato suono“): il synth-rock di ‘Why Didn’t You Stop Me?‘, il folk acustico di ‘Lonesome Love‘ e il minimalismo voce/piano di ‘Two Slow Dancers‘ sono tre esempi agli antipodi tra loro, ma ugualmente pregnanti. Insomma, sebbene ci riesca difficile accodarsi all’universale acclamazione senza se e senza ma, siamo indubbiamente di fronte a un album importante.

VOTO: 🙂



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