Genere: art/electro-rock | Uscita: 9 novembre 2018
Se ci fossero mai stati dubbi sul fatto che i Muse siano dei tamarri galattici, la copertina del loro nuovo album, ‘Simulation Theory‘, dissipa ogni incertezza: lo sono. Disegnata da Kyle Lambert, visual-artist londinese autore delle grafiche per la serie TV ‘Stranger Things‘, ritrae i tre musicisti inglesi in un’ambientazione fanta-scientifica con indosso improponibili occhiali da realtà virtuale. E’ l’esplicitazione visuale del tema portante del loro ottavo album in studio, ovvero la teoria secondo cui la nostra esistenza non sia altro che parte di una simulazione non molto dissimile da quelle generate con i computer. Un po’ come in ‘Matrix‘, insomma.
L’argomento è certamente ideale per le scenografie dei rinomati tour di Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard. Non è un caso che quello legato a questo disco sia stato annunciato contemporaneamente ad esso, e le date, tra cui le due negli stadi di Milano e Roma, comunicate appena quattro giorni prima della sua pubblicazione. I trucchi digitali legati a ‘Simulation Theory‘ non consistono però soltanto in quelli che verranno mostrati live: le canzoni di questo nuovo album sono anch’esse pregne di sinteticità, con le componenti elettroniche che quasi sempre sovrastano quelle analogiche.
Del resto, il perdurante accatastamento di strati sonori, nonché l’accostamento di elementi apparentemente in antitesi tra loro, è sempre stata una prerogativa stilistica del trio di Teignmouth. Fatta eccezione per il loro LP d’esordio, ‘Showbiz‘, il suono dei Muse ha costantemente flirtato con l’epicità, la grandiosità, l’esagerazione. Una scelta che ha permesso di mettere in mostra in maniera ancora più evidente, quasi ostentandole, le enormi qualità di musicisti dei tre. Come nei migliori blockbuster hollywoodiani, in cui gli effetti speciali catturano l’attenzione più della trama del film.
Nonostante un rilevante cambio stilistico, con l’inserimento costante di ritmiche downtempo e l’utilizzo frequente di campionamenti, ‘Simulation Theory‘ va nella direzione intrapresa ormai da tempo e, anzi, pare ancor più di altri un lavoro finalizzato all’esibizione dal vivo. La voce di Matt Bellamy è come sempre al centro della scena, le melodie sono ariose e prorompenti, perfette per interminabili singalong (‘Get Up And Fight‘, ‘Blockades‘). Come sovente capita nei loro dischi, a buone trovate (l’electro-gospel di ‘Dig Down‘ e il folk-pop futuristico di ‘Something Human’) si associa una retorica da stadium-rock e una ricerca compulsiva della caricatura (‘Algorithm‘, ‘Thought Contagion‘, ‘Pressure‘, ‘Propaganda‘) che li porta molto lontano dalla nostra personale concezione di buon gusto. Insomma, questa ostinazione nel recitare sempre e comunque il ruolo dei tamarri galattici di cui sopra banalizza un talento che potrebbe essere meglio speso, e sostanzialmente non ci permette di apprezzare quasi nessuno degli album dei Muse. Purtroppo, nemmeno questo.