🎵 Chamber-rock | 🏷️ Play It Again Sam | 🗓️ 30 agosto 2024
“Ascoltandolo… Non lo so… Sembra che siamo felici”: questa dichiarazione di Nick Cave in persona fa parte della stringata press-release di ‘Wild God’, diciottesimo LP accreditato a Nick Cave & The Bad Seeds nonché primo degli ultimi cinque anni, e successore di quel ‘Ghosteen’ che, al netto dei personali giudizi di merito, era un disco assai specifico nel suo genere, anche perché conseguente al dolore tra i più grandi che un essere umano può provare: la perdita di un figlio.
“Cave ha iniziato a scriverlo il giorno di capodanno del 2023”, si legge ancora nella nota stampa, data quantomai simbolica per rappresentare un nuovo inizio dopo tutta quella sofferenza. La “positività” con cui viene descritta quest’opera fa pari con la “felicità” di cui sopra, sostantivi che attestano ulteriormente il termine dell’elaborazione del lutto. Non secondario aspetto è anche il ritorno a ranghi completi della band che lo accompagna da più di 40 anni, giacché al precedente particolarissimo tappeto sonoro aveva lavorato quasi esclusivamente Warren Ellis. La forma canzone torna ad essere definita, sebbene con tutte le licenze estetiche e poetiche che si può prendere un’artista tanto istrionico. Prime tra tutte, il massiccio utilizzo di cori e di un’ampia strumentazione, a sottolineare la solennità di una tale rinascita emotiva.
E come accaduto per tutte le opere più recenti firmate Nick Cave, la piena fruizione della sua musica la si raggiunge con la totale immedesimazione nella sua vicenda personale. È piuttosto superfluo, se non proprio errato, confrontare il succitato ‘Ghosteen’ o questo ‘Wild God’ con ‘Murder Ballads’ o anche solo con ‘Skeleton Tree’, perché, come dice a Mojo l’amico Warren, in quest’ultimo difficilissimo periodo della sua vita artistica il lato empatico del cantautore australiano è emerso con maggiore nettezza: “C’è sempre stato Nick e poi c’era anche Nick Cave, ma ora i semi hanno germogliato e Nick ha preso il sopravvento”.
Dunque, un lavoro come ‘Wild God’ va considerato autonomamente, realizzando sin dalle prime note che no, non è per niente un disco allegro. Simboleggia piuttosto un’accettazione, spingendosi a sostenere che la vita, in ogni caso, va vissuta nonostante malinconie, rimpianti, nostalgie e tormenti. E’ tutto questo che trasudano brani come ‘Song Of The Lake’, la title-track ‘Wild God’, ‘Final Rescue Attempt’, ‘Long Dark Night’ ed ‘As The Waters Cover The Sea’, per citare i più impattanti. Al netto di un’orchestrazione ancora una volta di assoluto prestigio, di un’interpretazione come di consueto sopra la media, di una scrittura che sarebbe altrettanto poetica anche senza audio, è quanto di non tangibile trasmette il Cave più recente la vera opera d’arte. Quanto riesce a coinvolgere come un abbraccio né di circostanza e tantomeno di compatimento, ma di conforto e fratellanza, con parole e suoni che non si saprebbero trovare in sé stessi. Che poi, è l’arte al suo massimo stadio quella che si ammira sapendo benissimo che non la si potrebbe mai replicare in alcun modo.
😀