Nine Inch Nails: ‘Bad Witch’ EP (Null, 2018)

I Nine Inch Nails, diciamoci la verità, sono sempre stati solo e soltanto Trent Reznor. Dal 1989 a oggi, accanto a lui, si sono succeduti ben 22 membri ufficiali, ultimo dei quali il produttore Atticus Ross, che collaborava con la band sin dal 2005 in un ruolo molto simile a quello che Nigel Godrich ricopre per i Radiohead. Trent e Atticus (curiosità: il suo bisnonno era il medico, patologo e anche senatore italiano Aldo Castellani) hanno sempre più intensificato la loro cooperazione: dal 2010 sono anche premiata ditta di autori di colonne sonore (‘The Social Network‘ e ‘Gone Girl‘ i due film più riusciti che ospitano le loro musiche), e dal 2016, per l’appunto, sono gli unici due membri ufficiali dei Nine Inch Nails.

Ed è proprio del 2016 l’idea di far uscire, uno per anno, tre EP che andassero a formare una sorta di trilogia e che eventualmente potessero essere raccolti come un unico album. ‘Bad Witch‘ è dunque il successore di ‘Not the Actual Events‘ e ‘Add Violence‘, due buoni lavori che non hanno però rivoluzionato il suono industriale ormai marchio di fabbrica dei NIN. Questo terzo capitolo, invece, è stato annunciato come “entusiasmante” e “rischioso” dallo stesso Reznor che, soprattutto a livello mediatico, ha provato a farlo passare come ‘album’ anziché come ‘EP’: “Mi sono accorto che gli EP vengono poco considerati, specialmente dalle piattaforme streaming“. Forse perché, lapalissianamente, contengono meno canzoni di un album?

E’ difficile però non considerare ‘Bad Witch‘ un EP: vero che la durata supera i 30 minuti e molti LP attuali girano su quelle tempistiche, ma i brani in scaletta sono solamente sei, di cui due strumentali. Al netto di un giudizio di merito, è troppo poco per rimanere soddisfatti nel caso ci si aspetti un lavoro incisivo e di lunga durata. ‘Bad Witch‘ presenta un’altra caratteristica tipica di molti EP, ovvero la mancanza di una connessione di fondo tra i brani, che anche in questo caso sembrano essere stati semplicemente accorpati in un’unica uscita.

Nulla di così grave, ma è evidente che le prime due sincopate tracce, la quasi punk ‘Shit Mirror‘ e la ritmatissima (al limite della drum ‘n’ bass) ‘Ahead Of Ourselves‘ facciano squadra a sé, come in un mondo a parte sono le due successive. La caratteristica che più salta all’occhio di ‘Play The Goddamned Part‘ è l’utilizzo del sax, dichiarato rimando al Bowie di ‘Blackstar‘, di cui ‘God Break Down The Door‘, miglior brano in scaletta e unico sopra la media, è un evidente tributo. ‘I’m Not From This World‘ e ‘Over And Over‘, dal canto loro, possono ammaliare i fan delle atmosfere lynchiane, ma sembrano composizioni più utili a raggiungere gli agognati 30 minuti di durata che ad avere valore per sé: associarle alle immagini di qualche film gli avrebbe dato più senso, così finiscono per appesantire quello che avrebbe potuto essere un altro EP più che discreto, ma che se ascoltato nell’ottica di un LP presenta lacune sia dal punto di vista della quantità che della qualità.

VOTO: 😐



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