Oneida: ‘Success’ (Joyful Noise, 2022)

Genere: noise-rock | Uscita: 19 agosto 2022

Quando si parla di band dal solido passato, non si può non prendere in considerazione gli Oneida. Insieme dal 1997, con una quindicina di album alle spalle senza il benché minimo compromesso con il marketing musicale, e nessuna intenzione di compiacere nemmeno i propri fan. Si è rivelata ogni volta una sorpresa ascoltare ciò che Kid Millions, Bobby Matador, Hanoi Jane, Shahin Motia e Barry London sono stati capaci di mettere insieme in 25 anni di carriera, sia dal punto di vista prettamente sonoro che del minutaggio impiegato per eseguirlo. Sperimentazione, improvvisazione, ma la costante di quell’anima punk-rock che ha, più o meno direttamente, sempre influenzato le loro composizioni.

Success‘, titolo che pare celare dell’ironia, arriva subito dopo gli stop della pandemia e rappresenta, anche a causa di essi, la più lunga attesa per un nuovo LP della loro storia. Quattro anni, un bel po’ di tempo in cui il quintetto ha potuto assaporare il ricongiungimento e riscoprire la voglia di suonare insieme. La band si è ritrovata in uno studio dell’hinterland di New York a maggio 2021, cominciando – come suo solito – con delle jam session: “Onestamente non abbiamo cercato intenzionalmente di fare qualcosa di più diretto, è semplicemente venuto fuori così“, spiega il batterista Kid Millions, autore di altre interessanti sperimentazioni con il proprio moniker personale. “Si è generato qualcosa di molto produttivo nell’oscillazione tra quell’approccio molto libero e le nuove canzoni, che sono state molto rifinite e rese il più possibile minimali. Volevamo suonare in modo molto semplice, ma mantenendo il nostro vocabolario. È stato divertente“, aggiunge il collega e co-leader Bobby Matador. “È un disco di canzoni rock. Alcune hanno due accordi, altre solo uno“, chiosa il tastierista e vocalist.

In realtà, ‘Success‘ così facile non è, nel senso che le sue sette tracce durano nel complesso oltre 41 minuti, tre di esse superano i 7’ sfiorando in un’occasione quasi gli 11. Questo perché il combo newyorkese mantiene quella predisposizione all’estemporaneità che aggiunge lunghe code rumorose alle proprie creazioni, in rispetto ai propri modelli Velvet Underground, Suicide e Can. Siamo però al cospetto dell’opera più immediata del loro ultimo periodo, con passaggi che non spiacerebbero ai Ramones (‘Beat Me To The Punch‘, ‘I Wanna Hold Your Electric Hand‘, ‘Rotten‘), e che mostrano comunque un estro enormemente sopra la media. I 10’46” di ‘Paralyzed‘, con quel riff di tastiera a lungo in loop, è un’altra faccia della medaglia di un disco che ripropone al top una delle band più rilevanti dell’underground americano degli ultimi due decenni. In una versione moderatamente accessibile, e dunque ideale per chi volesse avvicinarvisi con un po’ di ritardo.

VOTO: 😀



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