Orville Peck: ‘Pony’ (Sub Pop, 2019)


Genere: alt-country | Uscita: 22 marzo 2019

Il nuovo fuorilegge della country music“: così il sito della Sub Pop, la storica etichetta di Seattle che si è incaricata di far conoscere Orville Peck al mondo, descrive il cantautore canadese. In realtà è una conoscenza piuttosto difficile da approfondire, giacché il nuovo eroe della tradizione americana gira sì con frange e cappello da cowboy, ma anche con un velo che gli copre completamente il volto ad eccezione degli occhi. Nascondere le proprie generalità è certamente qualcosa che funziona, lo abbiamo constatato molto recentemente anche dalle nostre parti, ma senza essere un musicista enormemente talentuoso pure il buon Orville rischierebbe di fare la fine della macchietta. Nel suo caso c’è molto di più oltre la maschera, e l’esperienza di batterista in una band punk (o almeno cosi dicono coloro che hanno confrontato i molti tatuaggi in bella mostra sui suoi bicipiti) gli ha certamente giovato anche nel ruolo di produttore di sé stesso.

Ciò di cui invece Peck non ha fatto mai mistero è la propria omosessualità. Siamo dunque di fronte a un artista che ha scelto di suonare il genere musicale più tradizionale possibile ben conscio di appartenere a una categoria che proprio un certo tipo di tradizionalismo machista ha sempre osteggiato. E’ un ribaltamento di status quo che, oltre a fargli onore, rappresenta l’aspetto più gustoso e attraente della sua musica. Il suo è infatti un alternative-country che più alternativo non si può, pienamente aderente al genere di riferimento ma spesso anche inafferrabilmente sgusciante, tanto da avvicinarsi sensibilmente a punk, post-punk e persino shoegaze.

Prendete ‘Queen Of The Rodeo‘, ad esempio: quale cowboy avrebbe dedicato una ballata a una Drag Queen? Oppure un brano come ‘Buffalo Run‘: quanti pezzi country hanno mai avuto un andamento cosi irregolare e una tale coda rumorosa? Oltre tutto ciò c’è il crooning baritonale di Orville, che ricorda Johnny Cash ma anche un po’ Elvis; un timbro che ascoltato dal vivo si rivela eccezionale quanto la compattezza e la bravura della sua backing-band. Se c’è dunque un limite in ‘Pony‘ (altro titolo eloquente quanto ironico) è proprio la solamente parziale rivelazione delle reali qualità di questo musicista. Un’abilità live sopra la media non può però divenire fattore sminuente per un esordio maturo e stilisticamente centratissimo, che per una volta giustifica un hype assolutamente meritato.

VOTO: 😀



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