Panda Bear: ‘Buoys’ (Domino, 2019)

Genere: experimental-pop | Uscita: 8 febbraio 2019

Il rapporto tra Noah Lennox e Lisbona è saldo e duraturo quanto quello con la moglie, la fashion designer Fernanda Pereira, conosciuta proprio nella capitale lusitana. Si era trasferito in Portogallo nel 2004 proprio per stare vicino alla compagna, ma già da quando vi si recò per la prima volta ebbe “un ottimo presentimento a proposito di questo posto“. “Sono una persona che si muove lenta, e Lisbona è una città che si muove lenta” chiosa il co-leader degli Animal Collective. Ai piedi della Torre di Belem Lennox ha fatto due figli e registrato quattro album, tra cui quest’ultimo, il suo sesto in carriera. Lo ha raggiunto nella penisola iberica Rusty Santos, producer newyorkese che aveva già lavorato con lui per ‘Young Prayer‘ del 2004 ma soprattutto per ‘Person Pitch‘ del 2007, ovvero il suo LP solista indubbiamente migliore.

La lentezza della vita portoghese non ha certo assopito l’effervescenza creativa del musicista di Baltimora. Incuriosito dalle tecniche di produzione contemporanee, ha chiesto all’amico Rusty di dagli un suono “che possa essere familiare alle orecchie di un ragazzino“. Anche per questo è stata selezionata la collaborazione della DJ/vocalist cilena Lizz e del musicista portoghese Dino D’Santiago, entrambi avvezzi, così come lo stesso Santos, a reggaeton e trap.

I fan di lunga data di Panda Bear e Animal Collective possono però stare tranquilli: non c’è trap in questo disco, che difficilmente risulterà di facile ascolto per un qualsivoglia pischello. In realtà, Noah prosegue nella sua sghemba ma decisa traiettoria, quella intrapresa ormai una quindicina di anni fa dalla sua band principale. Il suo concetto di musica pop è sempre peculiare, ma raramente è stato così limpido, almeno all’interno della sua produzione solista. Alla base di queste nove canzoni (perché di vere e proprie canzoni si tratta) c’è sempre la chitarra acustica, contornata e a volte anche imbevuta in quei suoni liquidamente sintetici che vivacizzano un incedere molto coerente con la lentezza della città divenuta ormai sua. Una chitarra spesso campionata e rimandata in loop, a ribadire ancora una volta la sua predilezione per l’intreccio tra analogico e digitale.

Il maggior pregio di ‘Buoys‘ è proprio il vestito fatto indossare a ciascuna delle tracce in scaletta, che le rende frizzanti anche laddove si presentano come intenzionalmente riflessive. E’ un disco insolitamente conciso che cresce con gli ascolti, consente di decifrare le sue stratificazioni piano piano, rivela la propria profondità in un lento ma irreversibile circolo virtuoso. Ha forse troppa poca versatilità, soprattuto in principio si fatica a discernere le differenze tra un brano e l’altro, ma è l’ennesima attestazione di unicità di un musicista che riesce ad essere seminale anche quando non vorrebbe pienamente sembrarlo.

VOTO: 🙂



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