Paolo Nutini: ‘Last Night In The Bittersweet’ (Atlantic, 2022)

Genere: rock | Uscita: 1 luglio 2022

A soli 19 anni, Paolo Giovanni Nutini era già terzo in classifica. Ci arrivò con il suo primo disco, ‘These Streets‘ (2006), un album che sin dal primo estratto, la romanticissima ‘Last Request‘, puntava palesemente a un tale risultato. Il suo airplay crebbe ancor di più grazie a un altro paio di singoli di facile assimilazione come ‘New Shoes‘ e ‘Jenny Don’t Be Hasty‘, capaci di rendere questo ragazzo scozzese di chiarissima discendenza italiana idolo sia delle ragazzine che di quei maschietti che si accontentavano di ascoltare il rock alla radio. Un successo confermato, nel metodo e nel merito, dal successivo ‘Sunny Side Up‘ (2009) e rafforzato, qualche tempo dopo, dal tuffo nel soul e nell’R&B di ‘Caustic Love‘ (2014), arrivato proprio quando il soul e l’R&B stavano andando per la maggiore.

In sostanza, la carriera di Paolo Nutini è sempre stata caratterizzata da talento, attitudine, ma anche da molta astuzia nell’essere sempre, musicalmente, nel posto giusto al momento giusto. Per questo lo iato tra il suo terzo e il suo quarto LP già da qualche tempo stava destando un certo stupore, che si fa ancora maggiore nell’ascoltare ‘Last Night In The Bittersweet‘, un lavoro che pare l’esatto opposto dei suoi predecessori: prolisso, complesso, ruvido, fuori moda, sebbene resti aggrappato a quel blue-eyed soul che ne ha sempre caratterizzato lo stile al di là dell’effettivo colore dei suoi occhi. Prodotto dallo stesso Paolo insieme a Gavin Fitzjohn e Dani Castelar, supera i 72′ di durata e arriva a contenere ben 16 tracce. Evidentemente, lungo tutti questi 8 anni, ovvero dai suoi 27 ai 35, non ha mai smesso di scrivere, come egli stesso rivela in questa intervista a Rolling Stone UK. Altrettanto chiaramente la sua maturazione personale è andata pari passo con quella artistica, dando vita a composizioni che si dilatano, si stratificano e si sviluppano su direttrici rock più articolate, colorandosi di psichedelia e avvicinandosi persino al krautrock.

Acid Eyes‘, l’interludio ‘Stranded Word‘ e ‘Lose It‘, quarta, quinta e sesta posizione in scaletta, sono emblematiche di un approccio che è indubbiamente cambiato. L’immagine di copertina, una fotografia sgranata che ritrae Nutini nel caos organizzato della sua sala prove, è una sintesi perfetta di quanto contenuto in ‘Last Night In The Bittersweet‘. È di gran lunga il disco migliore della sua carriera, questo, oltre che una bellissima testimonianza di un artista che sceglie la strada più complessa ma al contempo quella personalmente più appagante. Non tutti gli episodi riescono a mantenere il livello di cui sopra (‘Petrified In Love‘ è un po’ banalotta, ‘Shine A Light‘ non decolla, ‘Desperation‘ la si poteva complicare un po’ di più), ma la scelta di arrangiamenti mai troppo carichi rende migliori anche i brani meno elaborati, come ‘Abigail‘, ‘Julianne‘ e ‘Writer‘. Insomma, mai ci saremmo aspettati di riuscire ad ascoltare per intero un album di Paolo Nutini, e invece questa volta accade, e anche con un discreto gusto.

VOTO: 🙂



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