🎵 Indie-soul | 🏷 Parlophone | 🗓 3 maggio 2024
Rachel Chinouriri è salita alla ribalta grazie a TikTok, ha aperto i concerti di Lewis Capaldi, Louis Tomlinson, Celeste e Sam Fender, e ha ricevuto endorsement da Adele e Florence Pugh. Il suo album d’esordio viene pubblicato dalla Parlophone (gruppo Warner) e si avvale del contributo di ben 13 co-writer su un totale di 14 canzoni, tra le quali non esiste un solo brano interamente accreditato a lei. Insomma, almeno apparentemente quanto di più lontano dal concetto di “alternative” possa palesarsi. Nonostante tutto ciò, su Wikipedia viene definita “singer-songwriter” e in varie interviste lei stessa reclama di aver realizzato un album “indie-rock” e di ispirarsi “al Brit-pop degli anni ’90“, conducendo una personale battaglia a favore della presenza di artisti di colore nell’immaginario del rock indipendente: “La mia musica non è R&B. La mia musica non è soul. La mia musica non è R&B alternativo. La mia musica non è neo soul. La mia musica non è jazz. Ascoltare deli artisti neri che fanno indie non è nulla di innaturale. Guardate il mio colore prima di ascoltare la mia musica“, afferma con orgoglio in questa intervista a Rolling Stone.
Sono pertanto due le matasse da dipanare mentre si discorre di un’artista che con tale debutto, intitolato ‘What A Devastating Turn Of Events‘, è riuscita a raggiungere la top 20 della UK chart nella settimana di pubblicazione e i cui concerti nel Regno Unito sono quasi tutti sold out. Nello specifico: 1) Cosa realmente si trova nella musica di Rachel Chinouriri? E, 2) Quanto di artisticamente spontaneo, e dunque di “indie”, alberga in un album che ospita così tanti contributi in una componente cruciale come la scrittura?
Nata in Zimbabwe ma trasferitasi a Londra all’età di tre anni, Rachel è cresciuta nella zona popolare di Croydon (nel sud di Londra), venendo fortemente attratta dalla cultura del suo paese di adozione. In più articoli si citano, come suoi idoli di gioventù, VV Brown e Shingai Shoniwa delle Noisettes, ovvero musicisti di colore che hanno scelto di fare rock. Non li poteva sentire sullo stereo di casa, però, perché i genitori molto religiosi la obbligavano ad ascoltare unicamente musica cristiana. Anche per questo ha cominciato a pubblicare canzoni soltanto maggiorenne, su Soundcloud, con il primo singolo ospitato dalle piattaforme streaming a pagamento nel 2018. Il suo successo più grande sinora, ‘So My Darling‘ (in questo disco presente in versione acustica come closer, quasi una bonus-track), ha spopolato su TikTok, e non dà propriamente l’idea di essere un pezzo indie-rock. Dunque, il primo aspetto da sottolineare è che sì, in ‘What A Devastating Turn Of Events‘ ci sono le chitarre, ma bisogna anche dare atto, a chi si è confuso a proposito del suo genere di riferimento, che non aveva poi tutti i torti: i suoi vocals sono assai affini al ciò che viene comunemente definito black music, e con arrangiamenti diversi ci sarebbero molte meno esitazioni nell’etichettare le sue canzoni come nu-R&B o alt-soul.
Che poi, è esattamente la ragione per cui questo suo LP d’esordio è molto fruibile, gradevole ma anche interessante: proprio questa interazione tra la tradizione indie-rock britannica e la nuova cultura pop di una millennial inglese ma di discendenza non inglese (di cui due fulgidi esempi sono Nilüfer Yanya e Arlo Parks), due generazioni e due mondi diversi che si incontrano. ‘Garden Of Eden‘, ‘The Hills‘, ‘All I Ever Asked‘, ‘Cold Call‘, o due bellissime ballate come ‘Robbed‘ e ‘Pocket‘, sono le esemplificazioni migliori, dichiaratamente influenzate da “Oasis e primi Coldplay“, mentre altri brani come ‘Never Need Me‘, ‘My Everything‘ e ‘It Is What It Is‘ paiono più ambire alla presenza su una playlist di Spotify di un teenager. Il bello di questo disco è proprio la naturale convivenza di tutte queste componenti, che appare assai spontanea e pienamente nelle corde di chi ne interpreta le canzoni. Che a tratti sono sì furbe, ma anche a loro modo consistenti, e soprattutto rimangono in testa, come dovrebbe fare ogni buon pezzo pop (ma anche ogni buon pezzo indie-pop). Il che, in fin dei conti, è quello che conta, al di là di etichette e sofismi un po’ pignoli. Rachel, insomma, rischia davvero di riuscire ad accontentare tutti: grandi e piccini.
🙂