Shame: ‘Drunk Tank Pink’ (Dead Oceans, 2021)

Genere: post-punk | Uscita: 15 gennaio 2021

Insieme a Fontaines D.C. e Idles, gli Shame compongono il tris di nuove band che, negli ultimi 4-5 anni, ha più contribuito a tenere vivo l’interesse per il rock ‘n’ roll. Una rivisitazione della tradizione euro-anglofona di punk e post-punk declinata in ciascun caso in maniera differente, ma non abbastanza perché non venissero incluse in una scena stilisticamente piuttosto coesa. Proprio il 2020 è stato l’anno della consacrazione per le band di Dublino e di Bristol, i cui rispettivi secondo e terzo album hanno confermato l’ampio e simultaneo gradimento sia da parte della critica che del pubblico. L’assenza, a fine stagione, del successore di ‘Songs Of Praise‘ (2018) è stata una tacita mancanza di cui ci si apprestava a ipotizzare le reali ragioni. Erano i cinque ragazzi londinesi in difficoltà nel dare un adeguato seguito a un disco tanto acclamato?

Nella realtà, niente di più falso: ‘Drunk Tank Pink‘ era già praticamente finito a fine gennaio 2020, dopo che il gruppo era volato in fretta e furia in Francia per rispondere alla chiamata di James Ford, il produttore che a metà anni ’00 fece spiccare il volo ad Arctic Monkeys e Klaxons e che si era reso totalmente disponibile ad occuparsi anche di loro. Sono stati i noti fatti di cronaca a costringere la band londinese a posticipare tutta la propria schedule all’anno successivo: “Se quando lo stavamo registrando ci avessero detto che ci sarebbe voluto un anno prima di poter farlo uscire, avrei pianto“, ammette il batterista Charlie Forbes in questa lunga intervista rilasciata all’NME.

L’ipotetico magone di Charlie è dettato dalla consapevolezza di avere per le mani del materiale estremamente valido. È certamente merito di un collaboratore abile come Ford l’aver tirato fuori il meglio da una band indubbiamente di talento, ma sono stati gli stessi Shame ad averci messo del loro, grazie a una crescita personale evidente, benché non indolore. Dopo due anni di tour ininterrotto le ripercussioni sullo stato fisico e mentale dell’altro Charlie, il frontman Charlie Steen, erano state preoccupanti: “Abbiamo quasi sempre bevuto whiskey per tutto il tempo, senza quasi mai mangiare“, racconta, “e una volta finito è arrivata quell’esagerata sensazione di immobilità che mi portava al pub praticamente tutte le sere (…) A un certo punto ho pensato che forse c’era un elemento del mio stile di vita da cui, per la mia sanità mentale, avevo bisogno di allontanarmi.” Per il chitarrista Sean Coyle-Smith, invece, la crisi si è manifestata in una sorta di rigetto artistico nel rapporto con il proprio strumento, che l’ha portato a ridefinire la propria tecnica dichiaratamente ispirato dall’ascolto dei dischi dei Talking Heads.

Sono queste le tre principali ragioni per cui, sia a livello stilistico che nei suoi testi, ‘Drunk Tank Pink‘ suona così diverso da ‘Songs Of Praise‘. Ci sono 3-4 pezzi che avrebbero potuto fare parte anche dell’LP precedente (‘Alphabet‘, ‘Great Dog‘, ‘6/1‘), ma il resto della scaletta mostra una nuova versione degli Shame che, sebbene non ne plachi irruenza e immediatezza, ne aumenta enormemente le potenzialità. Dalla new wave (‘Nigel Hitter‘, ‘Human For A Minute‘) al punk-funk (‘March Day‘), passando per art-rock (‘Water In The Well‘), spoken-word (‘Station Wagon‘) e un post-punk strutturalmente molto irregolare (‘Born In Luton‘, ‘Snow Day’, ‘Harsh Degrees‘), il quintetto di South London compie un deciso step verso la completa maturazione artistica, per cui la versatilità e l’ampiezza di soluzioni contenute in questo lavoro sono aspetti sostanziali. ‘Drunk Tank Pink‘ coniuga l’ardore dell’ultimo degli Idles con l’ambizione del più recente dei Fontaines D.C., superandoli entrambi proprio per la compresenza di ciascuna di queste componenti. Così facendo, gli Shame raggiungono il gradino più alto di questo podio esclusivo e si pongono, qui e ora, come la band da inseguire.

VOTO: 😀



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