Sleater-Kinney: ‘The Center Won’t Hold’ (Mom+Pop, 2019)

Genere: indie-rock | Uscita: 16 agosto 2019

Lavorare con Annie [Clark, aka St. Vincent] è stato stupefacente. Sin dal primo giorno è arrivata in studio con centinaia di idee, va a un milione all’ora. Ha un cervello davvero svelto… e una vastissima conoscenza di sintetizzatori e tastiere“: così Corin Tucker ricorda l’avvio delle registrazioni di ‘The Center Won’t Hold‘, il nono album delle Sleater-Kinney, e probabilmente quello che segna la svolta più considerevole della lunga carriera della band. Sono datati ormai 25 anni i primi singoli di quello che è da pochi giorni diventato un duo, composto unicamente dalle due fondatrici. Corin e Carrie Brownstein sono rimaste da sole dopo la decisione della batterista Janet Weiss, entrata nel gruppo un paio d’anni dopo la sua costituzione, di lasciarlo per perseguire nuovi progetti.

In realtà è tutto piuttosto connesso: la produzione di St. Vincent, la svolta stilistica e l’addio di Janet. L’impronta della Clark è di quelle che lascia il segno, portando ‘The Center Won’t Hold‘ in un’ideale via di mezzo tra un album delle Sleater-Kinney e ‘Masseduction‘, il più recente LP della cantautrice nata a Tulsa, il suo più accessibile e diretto. Si tratta dunque una versione più pop e meno punk della musica del trio/duo di Olympia, più sexy e meno ribelle, più digitale e meno analogica. Ed è probabilmente questa la “new direction” citata dalla Weiss nella nota di commiato come una delle ragioni della sua scelta di farsi da parte. E’ a tal proposito bene precisare che ‘The Center Won’t Hold‘ non si delinea come una sbracata svolta pop, e che l’anima ribelle, femminista e colta delle Sleater-Kinney è ampiamente presente anche in questo disco. Certo, sono cambiati i riferimenti: ‘Broken‘, struggente ballatona conclusiva, è dichiaratamente stata ispirata da ‘Stay‘ di Rihanna; di #MeToo e Trump non si parla così esplicitamente come qualcuno si sarebbe aspettato, si preferisce l’introspezione. E’ evidente come lo stimolo principe di questo disco sia stato il “prendere rischi“, il “giocare con quello che avevamo fatto sino ad oggi“, l’ “andare in una nuova direzione“. Del resto, “di #MeToo noi parliamo sin dal 1995!“, afferma senza possibilità di replica la Brownstein in questa intervista al Guardian.

In fondo, prima di questo LP ce ne sono stati altri otto in cui le Sleater-Kinney hanno potuto sviluppare e abbondantemente reiterare il proprio suono. Band assolutamente seminale, ispirata dal rriot girl movement ma già da subito stilisticamente affrancatasi aggiustando il punk ad esso storicamente collegato con reminescenze new wave e attualità alternative-rock, le canzoni di Corin e Carrie sono sempre state strutturalmente imprevedibili, passibili di improvvise accelerate come di ritornelli estremamente melodici. L’influenza della Clark estremizza questo aspetto, ma non tarpa le ali alla creatività del gruppo, anzi, la accompagna in scelte non banali, sebbene meno ruvide e più ammiccanti rispetto al passato. Quando l’amalgama Clark/Tucker/Brownstein viene perfettamente miscelato, i risultati sono eccelsi (‘Hurry On Home‘, non a caso il primo singolo, oppure ‘Reach Out‘ e l’alternativissima ‘Ruins‘), quando si eccede in semplicità sorgono alcuni dubbi, che non portano comunque a nulla di negativo (‘Can I Go On‘, che potrebbe essere una hit di Cindy Lauper, la filastrocca di ‘Love‘, la troppo RhiannosaBroken‘). Sono però soprattutto le ballate, non proprio il piatto forte della casa, a stupire: bellissime e intense sia ‘Restless‘ che ‘The Dog/The Body‘. Insomma, ‘The Center Won’t Hold‘ è certamente l’album più vario delle Sleater-Kinney, probabilmente non il migliore, ma è il disco che, arrivate a questo punto, avevano bisogno di fare.

VOTO: 🙂



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