Spiritualized: ‘And Nothing Hurt’ (Bella Union, 2018)


Genere: chamber-pop | Uscita: 7 settembre 2018

Immaginate Jason Pierce, chiuso in una stanza al piano superiore della sua casa nell’East London, che smanetta sul proprio laptop per imparare a utilizzare Pro Tools. Essendo un tipo piuttosto schivo, non chiede aiuto a nessuno, cerca di imparare da solo, a 52 anni, cose che sarebbero più semplici per un ragazzino di 16. Jason rimane in camera sua per settimane, forse per mesi, a maledire il budget insufficiente, che non gli consente di entrare in uno studio con una band e magari anche con un bel quartetto d’archi. Alla fine, però ci riesce a usare Pro Tools, e anche piuttosto bene. La pazienza di colui che una volta si faceva chiamare J. Spaceman è ancora così tanta da sorbirsi altre ore e ore di lavoro, ascoltando ininterrottamente musica classica per trovare i campionamenti giusti e avere così, nel suo nuovo album, anche i tanto sospirati archi.

Nella solitudine di quella stanza nell’est di Londra nasce così ‘And Nothing Hurt‘, ottavo album a nome Spiritualized, forse anche l’ultimo, o almeno questo ha paventato in qualche intervista lo stesso Pierce. Non deve essere stato facile passare tutte quelle ore davanti al computer, in solitudine, soprattutto per una persona che recentemente ha avuto gravi problemi di salute. Un po’ di scoramento post-creativo è comprensibile, ma scommettiamo che le reazioni entusiaste registrate nell’ultima settimana faranno cambiare idea al buon Jason.

Sì, perché questo disco è uno dei migliori della sua carriera. E’ anche un lavoro piuttosto atipico per lui, sebbene in ‘And Nothing Hurt‘ non ci sia nulla che non si sia già ascoltato da parte di Pearce. Sono però cambiate le proporzioni: su nove tracce in scaletta, sette sono ballatone che potremmo definire “intime”, a fronte di soli due brani (‘On The Sunshine‘ e ‘The Morning After‘) da far saltare i vetri delle finestre. Queste tenere ballatone soft-rock, ad ogni modo, sono così ben strutturate e stratificate che sembrano quasi voler cullare l’ascoltatore per gran parte dei 48 minuti della durata complessiva del disco. Nonostante Pierce non abbia mai avuto nella sintesi il suo miglior dono, e sebbene non ci fosse nessuno oltre a lui a lavorarle, la decina scarsa di canzoni in questione è forse la meno logorroica e la meno ridondante della sua discografia.

Probabilmente, tutta la fatica fatta a cercare di convertire su PC le proprie idee lo ha portato a non strafare, a non aggiungere nulla che non fosse strettamente necessario. Siamo però di fronte non soltanto a un album ben prodotto, ma anche a un album molto ben scritto, e indubbiamente confezionato con grande coinvolgimento e con passione per la propria musica. Tutto quel tempo passato davanti al laptop, alla fine, non era tempo buttato.

VOTO: 🙂



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