Spiritualized: ‘Everything Was Beautiful’ (Bella Union, 2022)

Genere: space-rock | Uscita: 22 aprile 2022

Per uno che si è spesso fatto fotografare dentro un tuta di astronauta, e che è solito utilizzare le confezioni dei medicinali come copertine dei propri dischi, la pandemia deve essere stata una goduria: “È come se mi fossi preparato tutta la vita per questo“, racconta Jason Pierce della personale euforia di quei giorni in cui “anche le sirene avevano smesso di suonare” e il mondo era “pieno di canti di uccelli e cose strane“. Non è stato neanche molto difficile, per uno come lui, in isolamento ancora più del solito, suonare ben 16 diversi strumenti in un unico disco e – perfezionista com’è – girare in 11 studi di registrazione per inciderlo. A coadiuvarlo, oltre alla band di cui è padre-padrone, 30 musicisti che hanno contribuito a ricreare quel wall of sound ormai parte integrante del suo stile musicale.

Un muro del suono che, insieme al rock di marcata matrice britannica che oscilla tra blues e psichedelia con frequenti divagazioni gospel, costituisce il marchio di fabbrica del progetto Spiritualized, affrancatosi dagli Spaceman 3 (la band precedente di Jason) con quell’album meraviglioso che è stato ‘Ladies and Gentlemen We Are Floating In Space‘ (1997), di cui questo ‘Everything Was Beautiful‘ sembra essere una sorta di reprise a 25 anni di distanza. Questa volta riesce a mantenersi piuttosto conciso Pierce, in realtà più nel minutaggio generale che nella durata dei singoli brani, che sono appena sette, tutti registrati in presa diretta come quelli di un quarto di secolo fa.

Sarà il ricordo di un passato glorioso, sarà l’obbligata asocialità degli ultimi due anni, ma colui che si faceva chiamare J Spaceman raramente è apparso così felice di fare musica, quasi mai così diretto e non sempre così ispirato. In quello che è il nono LP come Spiritualized c’è il meglio di una carriera assemblato con arte, talento e anche un bel po’ di genuina fragilità, tra overture oniriche (‘Always Together With You‘), code rumorose (‘The Mainland Song / The Lockdown Song‘), esplosioni sinfoniche (‘The A Song‘) e cori avvolgenti (‘Crazy‘). È difficile distrarsi nell’ascolto di questo disco, sebbene 5 brani su 7 superino i 5 minuti di durata, fino ai quasi 10 della conclusiva ‘I’m Coming Home Again‘. In realtà, a guardar bene, è un album di poche canzoni, molto lunghe, che non mostra granché di nuovo rispetto alla produzione passata del musicista inglese. Che cosa ha, dunque, di speciale questo disco? Viene da dire il tocco del fuoriclasse, quel qualcosa di indefinibile che lo fa risultare, incondizionatamente e inopinatamente, bellissimo.

VOTO: 😀



Lascia un commento