🎵 Gothic-rock | 🏷 Polydor | 🗓 1 novembre 2024
Non è un caso che ‘Songs Of A Lost World‘, quattordicesimo album della leggendaria epopea dei Cure, sia stato il primo a raggiungere nuovamente il primo posto in classifica dai tempi di ‘Wish‘ del 1992. E lo ha fatto senza contenere un singolo di lancio come la potentissima (dal punto di vista commerciale, e non solo) ‘Friday I’m In Love‘. Al contrario, questo LP, atteso 16 lunghi anni dopo una serie di rinvii che non promettevano nulla di buono, di singoli non ne ha: è composto da una serie di canzoni dilatate e non certo immediate, nichiliste se non pessimiste sullo stato del mondo attuale (definito “lost” sin dal titolo), e piene di dolore per la dipartita di persone care.
Sarà stato il lungo standby, interrotto soltanto dai concerti che Robert Smith non ha mai smesso di organizzare, sarà stata la popolarità di ritorno, trasportata al presente dal suono di nuove band che hanno appreso – spesso neanche direttamente – la lezione del musicista di Blackpool, sarà stata quella “mancanza di qualcosa di valido” che tanti anziani appassionati lamentano da tempo, le ragioni che hanno consentito ai Cure di ri-scalare la vetta della UK Chart. ‘Songs Of A Lost World‘ è però, soprattutto, un grande disco, probabilmente il migliore da quel lontano ’92, che per una volta si è preso tutto il tempo necessario, anche perché ‘Wish‘ fu seguito da album (‘Wild Mood Swings‘ del 1996, ‘Bloodflowers‘ del 2000, ‘The Cure‘ del 2004 e ‘4:13 Dream‘ del 2008) che non avevano riscosso il successo dei precedenti, anche e soprattutto a livello di critica.
Ammontano a quasi 7 i minuti di ‘Alone‘, il primo significativo estratto a essere universalmente diffuso, che dà la linea a quanto accadrà nei sette brani rimanenti. Lentezza, cupezza, malinconia e soprattutto empatia, quella per un uomo di 65 anni che riflette sulla vita come già aveva fatto in passato, ma in una fase e in una cornice più angosciante. ‘And Nothing Is Forever‘, ‘A Fragile Thing‘, ‘All I Ever Am‘ sono titoli esemplificativi, ma anche brani mossi non solo dalla scrittura (esclusivamente di Smith per la prima volta dal 1985), ma anche dal resto del gruppo, che ha vissuto cambiamenti (il ritorno del tastierista Roger O’Donnell, l’aggiunta del chitarrista Reeves Gabriels) che mai avevano potuto essere impressi su disco, dato il considerevole iato. È un solido agglomerato sonoro, dalla pulsante sezione ritmica alle chitarre taglienti, che accompagna melodie e testi quasi inediti, nel senso che quasi mai Robert era andato così tanto in profondità dentro sé stesso, e che quasi mai, quantomeno in tempi recenti, il suono dei Cure aveva così bellamente ignorato la struttura classica di una canzone. Lasciando da parte ragionamenti sulla posizione di questo disco all’interno di una discografia tanto importante e nelle graduatorie di fine anno, si può in ogni caso dire che questo ritorno è il migliore possibile, al di là di ogni più rosea aspettativa, e che ‘Songs Of A Lost World‘ ha tutti i crismi per essere ricordato nel tempo da chi ha amato e da chi amerà questa band.
😀