The Joy Hotel: ‘Ceremony’

🎵 Prog-folk | 🏷️ So | 🗓️ 19 luglio 2024

Quello dei Joy Hotel è uno dei pochi casi in cui la pandemia ha favorito le dinamiche interne di un gruppo musicale. Che, nel caso specifico, è davvero numeroso, essendo composto da sette elementi. I primi due in ordine cronologico sono stati Emme Woods e Luke Boyce, musicisti che vantano un lungo corso nella scena indipendente di Glasgow, ritrovatisi negli States per qualche concerto in cui lui ha suonato nel progetto di lei. L’unità di vedute e di intenti è stata da subito evidente, con l’idea di formare una band che è giunta quasi immediatamente.

Era ‘ancora’ il 2019, un anno che avrebbe avuto davanti a sé parecchio tempo libero nel quale organizzare un collettivo così nutrito, e in cui cementare il songwriting congiunto che delinea tutto ‘Ceremony’, corposissimo LP d’esordio che avrebbe tutta l’aria di essere l’opera numero cinque o sei di una band navigata. Si tratta di un lavoro densissimo di idee e intasatissimo di suoni, pur essendo stato registrato quasi completamente in presa diretta. Le sessioni si sono tenute in appena undici giorni ai celebri Rockfield Studios, in Galles, un luogo realmete leggendario per la storia del rock: è il posto in cui i Queen hanno registrato ‘Bohemian Rhapsody’ e da dove sono passate personalità del calibro di Iggy Pop, Robert Plant, Oasis, Black Sabbath e Simple Minds.

L’idea di un LP nostalgico era però evidentemente già presente nei pensieri dei Joy Hotel, la cui struttura è assai simile a gruppi storici degli anni ‘70 come Fleetwood Mac e Wings, e le cui composizioni sono state paragonate anche agli stessi Queen. Una sorta di Wiki-band che non si appiattisce sui modelli di riferimento, bensì rimescola e decide autonomamente, scegliendo di giungere alla mirabile durata di 56 minuti, che per un debutto non è certo poco e per un disco contemporaneo è ancora più inusuale. Come nei loro live set, non c’è soluzione di continuità tra un pezzo e l’altro (purtroppo le moderne piattaforme streaming non rendono giustizia a una scelta del genere, ndr), in un unicum che lo stesso Boyce definisce “la colonna sonora di un film che non esiste”.

Ceremony’, da qualche giorno distribuito su larga scala dalla So Recordings, conferma l’hype diffusosi in Scozia negli ultimi due anni, proponendo una serie di potenziali classici senza tempo e genere su cui svetta il singolo ‘Jeremiah’, un’appassionata discussione sull’accettazione della fine del mondo. A distinguersi sono anche l’openerI Decline’, la TurnerianaFirst Joy’, la vibrante ‘Rapid Eye Movement’ e la decisa ‘Old Man’s Eyes’. Formano un’opera prima di assoluto livello sia dal punto di vista compositivo che da quello prettamente musicale, un tripudio per chi ama le chitarre, che si ascoltano in tantissime modalità: acustiche, elettriche, distorte, ritmiche e in assolo. Con la costante dell’imprevedibilità, che apparentemente si contrappone a uno stile che deve tanto al passato, ma che in realtà si completa proprio in questa dualità, rendendo il primo album dei Joy Hotel un disco unico nel suo genere.

😀



 

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