The Waeve: ‘The Waeve’

🎵 Art-folk | 🏷 Transgressive | 🗓 3 febbraio 2023

Fu a dicembre 2020, dopo un concerto di beneficenza a cui entrambi avevano partecipato, che Graham Coxon e Rose Elinor Dougall riuscirono ad avere, per la prima volta, una conversazione approfondita. Il chitarrista dei Blur aveva appena eseguito due cover, una di Bert Jansch e una di John Martyn, e sceso dal palco ricevette i complimenti di colei che sarebbe stata la sua futura compagna di band. Erano entrambi artisti che amava parecchio, e durante quella chiacchierata emerse una condivisione di gusti e quindi un’unità di intenti che li portò a scambiarsi idee musicali per tutto il successivo periodo natalizio. Dopo due settimane, Graham e Rose avevano già messo a punto “4-5 canzoni“, giungendo presto alla conclusione che una tale intesa non poteva che portare a un album comune. Nacquero così i Waeve, anche in qualità di focus professionale per combattere lo scoramento causato dai ripetuti lockdown: “Era un periodo strano perché non c’era nessuno per le strade, il tempo era davvero rallentato, e sembrava interessante, in quella situazione, cercare di dare un senso a noi stessi, al di là delle nostre esperienze professionali, prendendosi qualche rischio rispetto a ciò che avremmo voluto esprimere“, racconta Coxon in un’intervista a NME.

In effetti, in ‘The Waeve‘ in quanto album di azzardo ce n’è parecchio, da Graham che torna a suonare il sax come a inizio carriera (ovvero più di 30 anni fa), a Rose che si cimenta con un sintetizzatore modulare, passando per flauti, archi, altri fiati e per un sacco di generi musicali mischiati tra loro. Un’esempio calzante, che salta immediatamente nell’orecchio, è l’opener ‘Can I Call You‘, “un folk pastorale che diventa un krautrock“, spiega la press-release della Transgressive Records, l’etichetta che ha puntato sull’inedito duo. C’è però anche molto altro in questo disco, da una ballata dolce a due voci come ‘Over And Over‘ a un punk-rock deciso come ‘Someone Up There‘, e nel mezzo psichedelia, prog, post-punk, chamber-pop, tanta tradizione folk britannica. Insomma, “un’identità sonora liquida e sciolta“, come la definiscono i due autori, che citano anche Van Der Graaf Generator, King Crimson e Bowie, e ringraziano per l’apporto James Ford, produttore ormai celeberrimo (Arctic Monkeys, Florence & The Machine, Foals, Haim), che si è occupato di dare ordine a tutte queste idee: “Mi piace lavorare con persone che non hanno paura di suoni che possano sembrare ‘too much’“, lo loda Graham. “Ha davvero un orecchio sensibile“, aggiunge Rose.

Questa triplice intesa ha prodotto un suono davvero distintivo e un album unico nel suo genere, che si allontana dalla retorica gainsbourghiana dell’interazione voce maschile/voce femminile, per sperimentare, sorprendere, azzardare, ma senza mai perdere il gusto della melodia e dell’arrangiamento colto, anche con molta concretezza. La melliflua ‘Undine‘ è un esempio da 7’46” senza alcun tedio; più in generale gran parte delle tracce in scaletta misura quasi 6 minuti senza che ciò abbia alcun peso. Merito di un disco che abbina in maniera impeccabile cuore e cervello, e di due artisti ritrovatisi a pieno agio al di fuori dalle proprie zone di comfort.

😀



 

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