Ty Segall: ‘First Taste’ (Drag City, 2019)

Genere: garage-rock | Uscita: 2 agosto 2019

Cosa di nuovo avrebbe potuto fare Ty Segall dopo dodici LP da solo, due insieme a White Fence, uno con Mikal Cronin, uno come membro degli Epsilons, uno coi Traditional Fools, due coi Fuzz, due coi Gøggs e uno col progetto The C.I.A.? La risposta è stata subito pronta, almeno nella sua produttiva immaginazione: un disco senza chitarre. Si è dunque concentrato su sintetizzatori, fiati, mandolini, percussioni, e anche qualche strumento tipico della tradizione giapponese e di quella greca. Non contento, ha deciso di suonare la batteria di persona, ma di destinarla unicamente al canale stereofonico di destra. A sinistra è stata ubicata quella del fido Charles Moothart, per un’interessantissima interazione percussiva e un’occupazione pressoché totale dello spettro sonoro che è tipica del garage-rocker californiano.

First Taste‘ è dunque una sorta di fuoriuscita dalla comfort zone rappresentata dalle sei corde, alzando l’asticella della difficoltà con trovate inusuali. Nonostante ciò il suono di Segall non perde di ardore e potenza, come ben si può sentire nell’opener e quasi title-trackTaste‘. In realtà ‘First Taste‘ è un album stilisticamente molto vario, che un po’ ripercorre la carriera dell’artista alternando rock duro (‘The Fall‘, ‘Worship The Dog‘) a rock più morbido (‘Ice Plant‘), l’immancabile psichedelia (‘Whatever‘, ‘The Arms‘, ‘I Sing Them‘, ‘Radio‘), passando per le consuete dilatazioni ai limiti delle jam session (‘When I Met My Parents Pt.1‘, ‘Self Esteem‘). Questo, nonostante l’idea di fondo, la registrazione in presa diretta e la magistrale esecuzione, fa perdere un po’ di coesione al lavoro.

La frequenza di pubblicazione del musicista di Orange County costringe del resto alla ripetizione anche chi ne parla: tale bulimia compositiva porta sui solchi delle sue opere praticamente ogni idea gli passi per la testa, con un inevitabile abbassamento di quella che potrebbe essere una qualità media ben più alta. Ty però va preso così com’è: il destino di noi ascoltatori sarà probabilmente sempre quello di dover andare a ricercare singolarmente le gemme nascoste nella sua interminabile discografia. In questo disco ce n’è una in particolare, la conclusiva ‘Lone Cowboys‘, capace di rappresentare, questa volta in un unico brano, tutto quanto è Segall musicalmente.

VOTO: 🙂



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