Cloud Nothings: ‘Last Building Burning’ (Wichita, 2018)

Genere: power-rock | Uscita: 19 ottobre 2018

Più che una band, i Cloud Nothings sono una comune. Il frontman Dylan Baldi, il batterista Jayson Gerycz e il chitarrista Chris Brown vivono allo stesso civico, e il bassista TJ Duke giusto a qualche minuto di distanza. A livello logistico non hanno dunque alcun problema nel ritrovarsi e suonare insieme, cosa che per altro fanno per tre quarti dal 2011 e con questa line-up dal 2013. E’ stata questa familiarità, personale e professionale, a convincerli che l’approccio migliore per il quinto LP del quartetto fosse quello dei loro incendiari live-set, anche in contrasto con il precedente ‘Life Without Sound‘ (2017), il loro lavoro più melodico. Insomma, a questo giro Dylan e soci volevano fare un po’ di rumore, e la persona più indicata a consentirglielo non poteva che essere un produttore come Randall Dunn, che in carriera ha quasi sempre avuto a che fare con tipi piuttosto chiassosi come (solo per citarne alcuni) Sunn O))), Six Organs of Admittance, Boris e Cave Singers.

Volevo qualcosa del genere perché attualmente non ci sono molte band che suonano come noi. Non è che non suonino alla grande, ma manca loro quella pesantezza che mi piace“, spiega Baldi, che del gruppo è indubbiamente il capo, oltre a essere colui che scrive tutte le canzoni. Così, i quattro vicini di casa si sono chiusi, ancora una volta tutti insieme, in uno studio in Texas, e otto giorni dopo se ne sono usciti con queste otto canzoni che realmente si possono definire “roventi“. In ‘Last Building Burning‘ i Cloud Nothings hanno pigiato sull’acceleratore ritmico e soprattutto sui pedali dei distorsori, un po’ come avevano insegnato loro Steve Albini (in ‘Attack On Memory‘, 2012) e John Congleton (in ‘Here And Nowhere Else‘, 2014), questa volta probabilmente con meno ricercatezza ma certamente con più ardore.

A tal proposito ‘On An Edge‘, in cui il frontman urla tutto il tempo, è apertura indicativa di un album breve (35 minuti) ma esauriente, che non perde slancio neanche nei 10 intricati minuti di ‘Dissolution‘. ‘Leave Him Now‘ e ‘Another Way Of Life‘, dal canto loro, non mancano di riportare in superficie il conclamato gusto melodico del musicista di Cleveland. Anche questa volta Dylan Baldi è inappuntabile nell’esibire quell’estro ricco di determinazione ed energia che era frequente rinvenire nell’alternative-rock degli anni ’90 e che in lui, che nei ’90 veniva al mondo, sembra essere innato.

VOTO: 🙂



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