Interpol: ‘Marauder’ (Matador, 2018)

Genere: post-punk | Uscita: 24 agosto 2018

Il 2017 degli Interpol è trascorso quasi interamente nella celebrazione di ‘Turn On The Bright Lights‘, il loro scoppiettante esordio che nel 2002 diede ulteriore vigore a una frizzantissima nuova scena newyorkese (l’anno prima, per dire, era uscito ‘Is This It‘ degli Strokes). Soprattutto, riportò in auge quel genere musicale definito post-punk, in particolare nella declinazione che ne diedero i Joy Division a fine anni ’70: chitarre ritmate e taglienti, atmosfere clautrofobiche, voce baritonale. Il tour che li ha visti riproporre per intero il proprio debutto è stato evidentemente una sorta di riflessione oltre che di ritorno alle origini per il trio americano, che negli album più recenti aveva sempre cercato una nuova prospettiva rispetto ai brani che lo avevano reso celebre, indirizzandosi verso un suono più stratificato e prodotto, ma perdendo qualcosa in spontaneità e comunicativa.

Marauder‘ torna al passato anche nella scelta di avvalersi di un produttore esterno. In realtà Dave Fridmann, almeno apparentemente, influisce poco sul suono di questo disco, che certo non è paragonabile a quello rigoglioso delle sue produzioni ultra-psichedeliche con Mercury Rev e Flaming Lips. Tutt’altro, ‘Marauder‘ è un album che potremmo definire grezzo, spoglio, diretto: in campo ci sono solo Paul Banks, Daniel Kessler e Sam Fogarino, con Paul dirottato quasi esclusivamente sul basso, e in mano hanno unicamente il loro strumento di pertinenza. Chitarra-basso-batteria e non molto di più, con le tracce registrate su una bobina, come si faceva una volta: “Questo ha voluto dire avere opzioni limitate, se volevamo aggiungere qualcosa dovevamo togliere qualcos’altro“, racconta Kessler nella press-release.

Sta proprio in questa scelta non-interventista di Fridmann il motivo per cui ‘Marauder‘ ci appare un album pienamente riuscito: il ritorno all’essenzialità del loro suono originario è come una manna dal cielo sulla band, che si mostra, nel vero senso del termine, rinvigorita. Il fatto che Fogarino sia arrivato a rompere la propria batteria di studio, perché l’aveva percossa con troppa decisione, la dice lunga sullo spirito punk (senza post-) che ha animato gli Interpol nella realizzazione di questo disco. Paul Banks, oltre a dare un gran tiro al suo basso, scrive per la prima volta in prima persona, ma sopra a tutto c’è il ripresentarsi di quelle canzoni che hanno dato alla band newyorkese lunga e imperitura notorietà, quelle che hanno riempito ‘Turn On The Bright Lights‘ e ‘Antics‘: ‘If You Really Love Nothing‘, ‘The Rover‘, ‘Flight Of Fancy‘, ‘Mountain Child‘, ‘NYSMAW‘, ‘Number 10‘ sono spigolose e determinate come i singoloni degli esordi, vanno dritte al punto e hanno quell’aria decadente e al contempo carismatica che è sempre stata loro trademark e punto di forza. Per non girarci troppo intorno, tutto questo fa sì che ‘Marauder‘ possa quantomeno essere considerato il miglior album degli Interpol degli ultimi tre.

VOTO: 😀



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