In ‘Alta Fedeltà’, il romanzo più celebre di Nick Hornby, il protagonista, proprietario di un negozio di dischi, era solito ‘giocare’ con i propri dipendenti/amici nel redarre alcune classifiche, composte solamente da cinque posizioni, sugli argomenti più disparati. Ovviamente, grande spazio avevano quelle musicali. Analogamente, e anche in quanto colta citazione (tutti voi, se non l’avete già fatto, dovreste leggere ‘Alta Fedeltà’), si è pensato di fare un analogo giochino a proposito degli LP pubblicati negli ultimi 24 anni. Ovviamente sono classifiche che non hanno alcuna pretesa di avere un valore assoluto, ma vogliono essere soltanto un modo per ricordare i bei tempi andati e alcuni album che hanno fatto la storia recente.
1. Postal Service: ‘Give Up’ (Sub Pop, 2003)
Fu Jimmy Tamborello alias Dntel a chiamare per primo Ben Gibbard, frontman e songwriter dei Death Cab For Cutie, per scrivere insieme una canzone, ‘(This Is) The Dream Of Evan And Chan‘. Finì in ‘Life Is Full of Possibilities‘, l’album del 2001 del producer. I due si trovarono talmente bene da cominciare una fitta corrispondenza epistolare: Jimmy mandava le sue basi incise su un CD-R via posta a Ben, che le ritornava con l’aggiunta del resto: voce, chitarra, batteria e tastiera. Il metodo adottato divenne anche la regione sociale del duo, a cui si aggiunse Jenny Lewis dei Rilo Kiley ai cori. Il risultato ebbe del miracoloso, quasi mai una base elettronica e una canzone indie erano mai state così bene insieme. ‘Give Up‘, piuttosto ignorato nelle classifiche dell’epoca, divenne con il passare del tempo un vero e proprio album di culto, tanto che i Postal Service, che avevano sempre sottolineato l’estemporaneità del progetto, si dovettero riunire 10 anni dopo per un tour commemorativo con tanto di ristampa in edizione deluxe del disco, che conteneva brani meravigliosi come ‘The District Sleeps Alone Tonight‘, ‘Such Great Heights‘, ‘Sleeping In‘, ‘We All Become Silhouettes‘ e ‘Clark Gable‘ e che diede vasta diffusione al termine “indietronica“.
2. Death Cab For Cutie: ‘Transatlanticism’ (Barsuk, 2003)
Fu proprio l’anno di grazia di Ben Gibbard, quel 2003. A differenza di ‘Give Up‘, ‘Transatlanticism‘ (che lo seguì di 7 mesi e mezzo) non aveva nulla di nuovo rispetto alle uscite precedenti dei Death Cab For Cutie. Semplicemente, tutto era fatto meglio: le melodie, i suoni, persino i testi del cantautore americano, sebbene sempre piuttosto banalotti e cuore-amore. Insieme all’ottima produzione del chitarrista Chris Walla, però, riuscirono a entrare dritti nel cuore degli ascoltatori più romantici, coloro che erano sempre stati nerd o comunque dalla loro parte. Questo disco, oltre a essere il punto più alto della carriera della band di Bellingham (‘The New Year‘, ‘Lightness‘, ‘The Sound Of Settling‘, ‘Death Of An Interior Decorator‘, la title-track), è anche il picco di quel tipo di rock rumoroso ma orecchiabile nato nei nei licei e nelle università americane, chiamato per l’appunto college-rock.
3. White Stripes: ‘Elephant’ (XL, 2003)
Potrebbe non essere il miglior album dei White Stripes in assoluto, ma di certo ‘Elephant‘ è il disco attraverso cui il mondo (inteso tutto) li ha scoperti. Rispetto alla discografia precedente, il quarto LP del connubio tra Jack e Meg White ebbe in più soprattutto un singolo apripista come ‘Seven Nation Army‘, divenuto di assoluto dominio pubblico tanto da trasformarsi anche in coro da stadio. La miscela tra la tradizione blues americana e l’eredità della scena garage-rock di Detroit è sempre il tratto costituente della musica del duo bianco-rosso, ma in questo LP i suoni, sebbene completamente analogici, appaiono più levigati e curati. Non è un caso che ‘Elephant‘ venne successivamente selezionato nelle shortlist di vari Grammy Awards, vincendone due, Best Alternative Album e Best Rock Song, ovviamente per ‘Seven Nation Army‘, che non è l’unico contenuto di alto livello: ‘The Hardest Button To Button‘, ‘I Want To Be The Boy To Warm Your Mother’s Heart‘ e ‘The Air Near My Fingers‘ sono tra le migliori canzoni mai scritte da White.
4. Rapture: ‘Echoes’ (DFA, 2003)
Furono i primi due EP dei Rapture ad attirare l’attenzione di James Murphy e Tim Goldsworthy, produttori/musicisti di discreta esperienza e soci nella loro neonata etichetta, chiamata DFA come la loro collaborazione artistica. Il corteggiamento fu lungo e non privo di ostacoli, soprattutto quando si intestarono l’indirizzo del suono di una band che sino ad allora era giusto poco più che post-punk. Come si dice in questi casi, DFA e Rapture erano vicendevolmente le persone giuste al posto giusto, e insieme sintetizzarono ciò che da quel momento in poi venne soprannominato “punk-funk”, ovvero una rivisitazione in chiave contemporanea del dance-punk di fine anni ’70. ‘Echoes‘ divenne dunque l’opener di un vero e proprio filone musicale che contraddistinse la metà degli ’00, successivamente sviluppato alla perfezione dagli LCD Soundsystem dello stesso Murphy. Aveva un suono caratterizzante, al contempo decadente e attraente, che non è mai stato replicato, neanche dagli stessi Rapture. Esempio fulgidissimo è il singolo ‘House Of Jealous Lovers‘, uno dei brani più rilevanti e influenti di quel decennio.
5. Kings Of Leon: ‘Youth & Young Manhood’ (RCA, 2003)
Se il revival garage-rock lanciato dagli Strokes aveva avuto, l’anno seguente, la sua versione British grazie ai Libertines, due stagioni dopo ebbe la sua declinazione Southern grazie ai Kings Of Leon, tre fratelli (e un cugino), tutti di cognome Followill, il cui padre era un predicatore della Chiesa Pentacostale Unita. Dopo essere stati per anni in giro con lui, si stabilirono a Nashville, dove si avvicinarono al country, per poi essere introdotti da un amico cantautore al rock di Thin Lizzy, Rolling Stones e Clash. Tutto ciò divenne la trascinante miscela del loro album d’esordio, un concentrato di entusiasmo giovanile e carisma da rocker navigati. Le 12 canzoni in scaletta sono tutti centri pieni: i singoli ‘Molly’s Chambers‘, ‘Wasted Time‘ e ‘California Waiting‘, ma anche ‘Red Morning Light‘ e ‘Joe’s Head‘.