Genere: dream-folk | Uscita: 18 gennaio 2019
Sono passati quasi cinque anni dall’acclamazione universale ricevuta da ‘Are We There‘, l’album della definitiva consacrazione di Sharon Van Etten come cantautrice. Ci sono stati un bel po’ di cambiamenti nella sua vita da allora: in primis è diventata madre, ma ha anche ripreso a studiare psicologia, scritto una colonna sonora, recitato nella serie Netflix ‘The OA‘. Tutte cose capitate quasi contemporaneamente, ma che non sembrano averla affannata: “Cavolo, ho una macchia sulla mia maglietta, pappa d’avena sui capelli e mi sento in disordine. Ma sono qui. Questo album parla della volontà di perseguire le mie passioni“, afferma convinta nella press-release.
Sharon, con tutto quanto aveva da fare, non poteva certo anche prodursi il disco nuovo. Così, ha fatto sentire un paio di demo a John Congleton, uno con cui da tempo desiderava lavorare, ma soprattutto uno affidabile, dal curriculum realmente interminabile, avendo in carriera collaborato con più di 150 band: “Gli ho detto di prendere Suicide, Portishead, e ‘Skeleton Tree’ di Nick Cave come riferimenti. E’ riuscito a darmi la prospettiva di cui avevo bisogno“, racconta la cantautrice newyorkese, che aveva già deciso in autonomia di mettere da parte la chitarra a favore di pianoforte, organo e sintetizzatori. Congleton ha contribuito a confinare al 2014 il suono mellifluo ed etereo del lavoro precedente, dando ai nuovi brani firmati Van Etten grinta e slancio, mantenendo però quell’atmosfera emotivamente accerchiante che ne è storicamente fondamentale caratteristica.
‘Remind Me Tomorrow‘, del resto, voleva fin dal principio essere una riflessione sulla vita finalizzata al presente, all’amore ma anche alle paure di un genitore appena divenuto tale. Tale turbinio emotivo, a volte straripante (la pattismithsiana ‘Comeback Kid‘, la spreengstiniana ‘Seventeen‘), altre essenzialmente intimo (‘Malibu‘, ‘Jupiter 4‘, ‘Stay‘), è la spinta propulsiva di questo disco. Nel dargli forma è fondamentale l’apporto di Congleton, geniale nell’ideare una serie di artifici sonori di grande estro ma anche di estrema concretezza (come il loop di ‘Memorial Day‘ o il riff di ‘You Shadow‘). Così, il quinto album in carriera della musicista americana si rivela un’altra prova maiuscola, differente rispetto ad ‘Are We There‘, ma di analogo livello. Un livello che è indubitabilmente alto.