Tindersticks: ‘No Treasure But Hope’ (City Slang, 2019)

Genere: chamber-pop | Uscita: 15 novembre 2019

La prima volta che Stuart Staples visitò Itaca era il 1992. La sua nuova band, i Tindersticks, si era costituita da appena qualche mese, e ancora non aveva pubblicato nessun album. Chissà se l’allora giovane musicista avrebbe potuto immaginare di aver dato inizio a una storia che sarebbe durata quasi 30 anni, e che il dodicesimo LP della sua neonata band sarebbe stato completamente scritto su quell’isola (come attesta la copertina qui sopra), divenuta per lui una sorta di buen retiro in cui passare buona parte dell’anno: “Non ho mai trovato un posto in cui sentirmi più rilassato della Grecia. E non è la classica situazione della villa in riva al mare. Quando siamo lì ci sentiamo parte di una comunità“, racconta Stuart ad Aquarium Drunkard.

E’ proprio il calore delle relazioni umane uno dei temi di ‘No Treasure But Hope‘, prima tra tutte l’armonia con i compagni di band, ormai in questa formazione da una dozzina d’anni: “Questo è stato il primo disco che abbiamo realizzato in completa fiducia tra noi. Ci vuole tempo per queste cose, ma abbiamo raggiunto un’intesa tale che ci è sembrato naturale spegnere telefoni e computer e suonare insieme solo per amore della musica“, aggiunge Staples. Diretta conseguenza è stata la brevità delle registrazioni, solamente sei giorni e unicamente in analogico, per “catturare il momento“. Un metodo di lavoro molto diverso da quello a cui il cantautore originario di Nottingham era abituato, anche per la tradizionale complessità delle canzoni dei Tindersticks, con tutti quegli strumenti, chitarre, tastiere, archi, da far coesistere nella più totale perfezione: “Sono  solito voler comprendere cosa abbiamo fatto prima di distribuirla nel mondo. Questa volta però ho scritto tutto molto in fretta, mi era capitato solo un altro paio di volte in passato. Abbiamo fatto tutto in maniera molto istintiva, personalmente volevo soltanto suonare e cantare queste canzoni.

In realtà ‘No Treasure But Hope‘ non suona come un classico disco registrato in presa diretta, tutt’altro. Il mestiere dei sei musicisti inglesi è tale da non far assolutamente emergere la decisa accelerazione realizzativa. E’ un album dei Tindersticks in ogni suo aspetto, dal lento e riflessivo incedere, passando per il caratteristico timbro baritonale di Staples, fino alla vasta gamma di strumentazione utilizzata. Nulla di nuovo dunque, ma ancora una volta tutto pressoché esemplare, comunicativo, empatico, solo episodicamente (‘See My Girls‘, ‘The Old Man’s Gait‘) un po’ manieristico. Ci sono però tre brani che svettano sugli altri: ‘The Amputees‘, il primo singolo, il pezzo più vivace (se di vivacità si può parlare); ‘Pinky In The Daylight‘, a detta del suo autore la sua prima vera e propria canzone d’amore e dunque insolitamente… allegra; ‘Tough Love‘, il brano che più a lungo mantiene l’intensità emotiva tipica della band formatasi a Londra quasi tre decenni fa, e che sarebbe potuto appartenere anche alla discografia dei National. Non c’era bisogno di nessuna conferma, ma ‘No Treasure But Hope‘ indubbiamente lo è: un’ulteriore consacrazione di chi si è costruito in autonomia un proprio stile e un proprio percorso, e che non ha ancora terminato l’elenco delle cose che ha da dire (e da suonare).

VOTO: 🙂



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