All Points East @ Victoria Park, Londra – 25/05/2019


Più che nei pressi del meridiano di Greenwich sembrerebbe di stare in California: da qualche giorno a Londra c’è un bel sole, così caldo da smentire i più radicati stereotipi sul clima inglese. L’ingresso per la seconda giornata del primo weekend dell’All Points East potrebbe, in un quantum leap spazio temporale, condurre all’entrata del Coachella, tanto sono gli shorts, i bikini, i top e le t-shirt alla moda educatamente in fila in attesa di accedere a quella che sarà la giornata assolutamente più rock dei due fine settimana della kermesse.

C’è davvero un sacco di roba, quasi accatastata nel programma dei cinque palchi posti agli angoli di Victoria Park, East London. Per vedere tutto servono gambe in spalla, uno studio accurato della mappa, e tanta logica aritmetica per non sbagliarsi con gli orari, anche perché la puntualità non è British, ma svizzera. In attesa dei pezzi grossi, le Dream Wife somministrano la prima dose di elettrica energia, mentre i Temples fanno capire che nel loro prossimo LP il rumore delle chitarre aumenterà parecchio. I Fat White Family si confermano trascinatori al di fuori di una qualsivoglia forma di razionalità, nel frattempo Amyl & The Sniffers forniscono la spiegazione per cui Londra è letteralmente tappezzata di loro poster, e stupiscono per come riescano a mantenere per tre quarti d’ora un così indiavolato ritmo punk-rock. Anna Calvi è sempre una spanna sopra tutti gli altri per le qualità vocali unite a quelle di chitarrista virtuosa: il suo sarà il miglior set del giorno. Se Jarvis Cocker fa un ripasso delle tante pose congegnate in carriera, purtroppo con una sola canzone dei Pulp (‘His ‘n’ Hers‘), Courtney Barnett si mostra una certezza per chi ha ancora sete di buon vecchio alternative rock. La sorpresa, per la padronanza del palco, sono gli Yak: da poco più che emergenti conquistano la piccola folla del loro piccolo palco con la sicurezza dei veterani.

Tra i nomi scritti in caratteri più grandi sul poster del festival, i primi a esibirsi sono i Raconteurs, con un set più ruvido del solito che ricorda un altro dei progetti di Jack White, i Dead Weather. Gli Interpol innestano il loro pilota automatico fatto di completi scuri, occhiali da sole e molta coolness. Con Paul Banks di nuovo alla chitarra assolvono con mestiere al ruolo di quota post-punk del festival. Connan Mockasin, invece, è colui che fa registrare il miglior rapporto entusiasmo/pubblico presente: non rimangono moltissimi a seguirlo, causa illustri sovrapposizioni durante il suo turno su uno dei palchi secondari, ma sono tutti assolutamente entusiasti della sua weirdness.

La scelta di non dare nessuna alternativa all’esibizione degli headliner di giornata, gli Strokes, non è granché condivisibile, anche alla luce dei molti problemi audio che non rendono possibile un buon ascolto agli oltre 30.000 avvicinatisi al main stage. Ci mettono un po’ anche del loro, i cinque newyorkesi: freddi e meccanici come se dovessero meramente timbrare un cartellino, danno l’idea di una band che si riunisce ogni tanto solo per ragioni di ri-finanziamento. Nonostante ciò i grandi classici come ‘Reptilia’ e ‘Last Night’ fanno il loro dovere, e mandano a riprendere la metro facce comunque soddisfatte.


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