Calexico & Iron And Wine: ‘Years To Burn’ (City Slang, 2019)

Genere: indie-folk | Uscita: 14 giugno 2019

Se la sono presa comoda, i Calexico e l’amico Iron And Wine, a dare un seguito a quell’EP del 2005, ‘In The Reins‘, che li portò anche in tour insieme. Solo l’anno scorso, finalmente, sono riusciti a trovare un po’ di tempo per tornare tutti e tre in studio. Non moltissimo tempo, a dir la verità: anche questo disco è piuttosto breve, otto tracce per poco più di mezz’ora di musica.

Hanno deciso di rincontrarsi a Nashville, i tre vecchi compari, un po’ per non rifare qualcosa che avevano già fatto in quel vecchio EP (che era stato registrato a Tucson), un po’ per lo studio in sé, il Sound Emporium, un posto pregno di storia perché fondato da un mito come Jack Clement e sede, tra le altre cose, delle registrazioni di ‘Document‘ dei REM. Una volta lì Joey Burns, Joe Convertino e Sam Beam hanno scelto la presa diretta, senza troppi orpelli. Solo qualche aggiustamento alle canzoni, quasi tutte scritte da Beam e arricchite dall’arcinota abilità nell’improvvisazione di Burns, Convertino, e di qualche musicista che si sono portati dietro.

Come si potrà immaginare ‘Years To Burn‘ non è un manuale di sperimentazione, tutt’altro. La scrittura di Beam, vellutata, rotonda e sempre molto classica, guadagna però in vitalità grazie alle aggiunte strumentali dei Calexico, che allungano i brani con dense code sonore o li arricchiscono di fiati, tastiere e steel guitar. Eloquente l’opener ‘What Heaven’s Left‘, che parte come un classico Iron And Wine ma che finisce festante tra trombe e corni venezuelani. La voce del cantautore americano è il filo conduttore del disco, e ciò che gli dà bellezza e calore. I Calexico, dispensati dalle melodie, si sono potuti concentrare sulle idee, come nello strumentale ‘Outside El Paso‘, dove il loro trombettista Jacob Valenzuela improvvisa sopra un tappeto sonoro tra post-rock e ambient, o nel medley ‘The Bitter Suite‘, in cui un etno-folk da confine messicano si trasforma in un groove improvvisato, per quindi sfociare in un altro rassicurante brano semi-acustico a firma Sam Beam. A ben sentire è l’emblema di questo disco, molto gradevole perché riesce ad amalgamare, in maniera sempre cangiante, due stili compatibili ma non così facilmente sovrapponibili, e a trarre il meglio da entrambi.

VOTO: 🙂



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