Gruff Rhys: ‘Babelsberg’ (Rough Trade, 2018)

Genere: art-pop | Uscita: 8 giugno 2018

Gruff Rhys è uno di quelli che cento ne pensano e cento ne fanno. Basta ascoltare anche solo una parte della discografia dei Super Furry Animals, o l’album del side-project Neon Neon dedicato al fondatore della DeLorean (2008), o ricordarsi del musical realizzato nel 2015 sulle canzoni del suo album di otto anni prima, ‘Candylion‘, in collaborazione con il Teatro Nazionale del Galles. Ed è proprio da questa iniziativa che è nata l’idea per questo disco, che inizialmente doveva esserne il docufilm celebrativo. A questo fine Gruff era entrato nello studio del produttore Ali Chant con tre amici musicisti, Kliph Scurlock (ex-batterista dei Flaming Lips), Stephen Black (poli-strumentista e musicista in proprio con l’alias Sweet Baboo) e Osian Gwynedd (anch’egli poli-strumentista, ex Big Leaves). Dopo tre giorni di registrazioni, però, il trio ne è uscito con un repertorio completamente inedito, sufficiente per pubblicare un album a sé. Da qui ‘Babelsberg‘, una sorta di visionario concept sulla decadenza estetica e morale del mondo d’oggi.

Musicalmente, è un LP che risente molto della recente esperienza con il musical, e fornisce ricchi e colorati arrangiamenti a ciascuna delle canzoni in scaletta, grazie al decisivo apporto dei 72 componenti della BBC National Orchestra of Wales. Di certo, in questo senso, non è certo un lavoro che pecca di compattezza, con Rhys che decide di far poggiare tutto quel po’ po’ di armamentario sonoro su canzoni di matrice squisitamente indie-pop e dal tocco anche un po’ vintage, che tra le cose più recenti ricordano i Belle And Sebastian (devoti anch’essi al musical) di ‘Write About Love‘ e ‘Girls In Peacetime Want To Dance‘. Dovendo dare a tutto ciò un giudizio di merito, è davvero difficile prescindere dall’ennesima estrosa idea del cantautore gallese (che voleva realizzare “un’opera su un Galles post-apocalittico“) e alla creatività che questo lavoro sprigiona sin dalla copertina. Lo svolgimento non è però così entusiasmante: il limitato range della voce di Gruff appiattisce ciò che l’orchestra prova ad elevare, e soprattutto manca una canzone che, in tutto questo tripudio pop, possa trainare le altre. Tutt’altro, a livello melodico ci si imbatte in soluzioni piuttosto di maniera, come se tutte le energie si fossero spese nell’ideazione e nella realizzazione, lasciando in seconda battuta la composizione. Peccato.

VOTO: 😐



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