Idles: ‘Tangk’

🎵 Post-punk | 🏷 Partisan | 🗓 16 febbraio 2024

Se si parla degli Idles, va innanzitutto evidenziato come da marzo 2017 a febbraio 2024 (ovvero in poco meno di sette anni), il quintetto di Bristol abbia pubblicato ben cinque album. Una regolarità qualitativo-creativa che ha radunato una solidissima fanbase al loro seguito, li ha posti sempre più al centro dell’attenzione dei media di settore, ma ha anche attirato qualche critica. La più diffusa è che sinora abbiano sinora realizzato, sostanzialmente, “sempre lo stesso disco”.

Chissà se sta nel ribaltamento di un tale luogo comune o nell’assunto che (come spiegano loro stessi al Guardian) “quando diventi genitore ti ammorbidisci, pensi di più“, la ragione per cui la band di Bristol abbia affidato a Nigel Godrich, lo storico collaboratore dei Radiohead, gran parte della produzione di ‘Tangk‘. Un nome altisonante, apparentemente lontano dal (post-)punk crudo e diretto che l’ha resa celebre: “Avevamo molta deferenza per la musica che consideravamo di livello superiore e che pensavamo fosse irraggiungibile per noi (…) Quello che abbiamo imparato è che è un livello non così difficile da raggiungere se ci si impegna“, racconta il chitarrista e co-produttore Mark Bowen. “È stato un po’ come andare a scuola. Ho imparato molto sui tape-loop e sul modo in cui usa la distorsione, il riverbero e il delay. È così vecchia scuola, eppure ha un suono nuovo“, aggiunge.

Tutti questo “imparare” ha consentito agli Idles di realizzare esattamente il disco che avrebbero voluto fare. Ovvero, nelle parole di Joe Talbot, “un album di gratitudine e di forza, che anziché far pensare, faccia provare qualcosa“. Un LP di “tutte canzoni d’amore, ma nella mia versione, che in passato era stata molto cupa e sofferta. Ma ho imparato a esplorare le mie emozioni, ed è per questo che in questo disco sono in grado di mostrarmi così fragile“, spiega il frontman.

E in effetti, ‘Tangk‘ è un disco in cui gli Idles fanno sì gli Idles, ma non come lo facevano prima. Vi si trovano ancora quei pezzi che replicano fedelmente il loro trademark (‘Gift Horse‘, ‘Hall & Oates‘, ‘Dancer‘, ‘Gratitude‘), ma sono in minoranza rispetto a brani decisamente più riflessivi (‘Idea 01‘, ‘Pop Pop Pop‘, ‘Jungle‘, ‘Monolith‘), se non vere e proprie ballate (‘Roy‘, ‘A Gospel‘, ‘Grace‘). E se nei primi si trovano tra i migliori riff di chitarra mai creati da Bowen, è in questi ultimi che il gruppo inglese compie il salto di qualità, costruendo un suono essenziale ma robusto, ruvido ma enormemente appassionante, che potrebbe essere descritto come una sorta di neo-romanticismo urbano nel quale è tangibile la presenza dei trick di Godrich.

Si hanno così undici tracce che si distinguono chiaramente tra di loro pur non perdendo coesione, e che sostanzialmente rendono ‘Tangk‘, se non il miglior lavoro in assoluto degli Idles, quantomeno quello più maturo. In cui persino il frontman cambia il suo modo di approcciare il microfono, alternando alla consueta declamazione irruente un’impostazione da crooner, se non un vero e proprio falsetto. È il miglior aspetto di questo disco: la scoperta di una band estremamente versatile, che non fa più sempre la stessa cosa, ma ne fa tante e tutte di grande impatto.

😀



 

Lascia un commento